Dalla FIE: L’escursionismo e l’etnobotanica – Parte 1

L’importanza dello stretto rapporto che instauriamo con la natura legato anche alla conservazione del nostro patrimonio culturale.

Fin dai primordi della storia l’uomo si è avvicinato al mondo vegetale con un rapporto le cui regole erano dettate dalle necessità di sussistenza, cercando in esso in primis i materiali per nutrirsi, per costruire le proprie case. Con l’evolversi delle strutture sociali questo legame si è articolato in modo più complesso, con l’utilizzo ad esempio dell’impiego delle piante in tutti gli ambiti dell’attività umana, da quello agricolo-pastorale, igienico-cosmetico, ma anche rituale, ruoli in cui spesso le piante assumono un’unica ricca valenza nella sfera della magia e delle credenze religiose. Lo sviluppo di questo rapporto, osservato in chiave storica, ha visto la sua evoluzione di pari passo con l’acquisizione di novi elementi di conoscenza.

Ogni popolo ha instaurato con il mondo delle piante un rapporto di stretta connessione e per molti aspetti di interdipendenza. Lo studio di questo tipo di relazione è l’etnobotanica, è una scienza interdisciplinare che studia l’uso e la percezione delle specie vegetali all’interno della società umana.

Perché ho premesso questo? Gli unici motivi sono la passione per ciò che incontro durante le escursioni, la conseguente voglia di classificare e conoscere ciò che non conosco e la voglia di ricercare, oltre alla semplice scheda botanica, tutte quelle leggende, aneddoti, usi fitoterapici ed altro, strettamente legati all’elemento preso in osservazione

Inizierò quindi da un albero di cui sono ricchi i nostri boschi, che annovera in Italia ma anche all’estero esemplari di dimensioni ragguardevoli ed al quale sono legate tantissime interessanti storie da raccontare, anche ai più giovani, prima che vadano perdute, con la speranza che un pò di favola ed un pò di ironia possa accendere in loro la curiosità che ci rende vivi e spettatori di uno spettacolo che ogni giorno abbiano gratuitamente sotto agli occhi.

La Quercia

Intanto c’è da dire subito che la famiglia delle Fagacee a cui essa appartiene comprende tantissime varietà:

  • Quercus ilex (leccio),
  • Quercus pubescens (roverella),
  • Quercus cerris (cerro),
  • Quercus suber (sughera),
  • Quercus petraea (rovere),
  • Quercus robur (farnia).

Le differenze tra le varietà sono molteplici: anche se tutte appartengono alla stessa famiglia. Vediamo di capirci qualcosa per poterle riconoscere.

Il leccio produce come le altre quercus la ghianda ma a differenza delle cuginette è sempre verde, mentre le altre quercus sono caducifoglie. Il cerro si riconosce molto bene dal ricciolo che ricopre la capsula che contiene la ghianda.  Altro modo per distinguerle è il peduncolo della ghianda e la lobatura e dentatura delle foglie che varia da specie a specie.

Ghianda del leccio

Giusto perché vi venga un pochina di curiosità ed andiate a vedere di cosa parlo, perché lo scopo principale non era questo.

La quercia è un affascinante albero, ricco di storia e aneddoti, simbolo di fortezza (“forte come una quercia”) utile in ogni sua parte sia come nutrimento che come sostentamento di tanti esseri viventi, osannato in poemi e utilizzato dai filosofi; ha un’aurea di sacralità, molte delle storie e delle leggende su questo albero sono in qualche modo legate al sacro. Nell’antica Grecia ad esempio era l’albero consacrato a Zeus; i romani usavano adornare il capo di chi aveva dimostrato valore con una corona composta da rami di quercia. Privilegio della quercia era l’ospitare delle ninfe: le driadi (che potevano abbandonare l’albero, da qui il divieto di abbattere la quercia), e le amadriadi che invece morivano con la pianta. Le amadriadi venivano considerate come immortali ed appena una quercia era in pericolo, esse scoppiavano in pianti e lamenti minacciosi, e così via, si potrebbe scrivere all’infinito.

Volevo invece raccontarvi il motivo per cui questa bellissima pianta conserva le sue foglie ormai essiccate ancora attaccate sui suoi rami fino allo spuntare delle nuove gemme.

Secondo un’antichissima leggenda sarda il Diavolo si recò da Dio, chiedendoli di avere potere sui boschi e sulle foreste. Dio gli concesse quanto chiesto soltanto nel momento in cui boschi e foreste saranno privi di fogliame. Saputa la notizia dell’avvenuto patto gli alberi del bosco iniziarono a preoccuparsi ed agitarsi. Il carpino, il tiglio, il faggio e l’olmo si chiedevano avviliti cosa fare per non avere quell’ospite così indesiderato tra di loro. Al faggio venne l’idea di consultare la grande quercia che dopo aver ben riflettuto decise di tentare di trattenere le foglie secche sui suoi rami almeno fino a quando agli altri alberi non fossero spuntate le nuove gemme. Così avvenne ed il Diavolo fu beffato. Da allora la savia quercia trattiene il fogliame secco per tutto l’inverno, finché in primavera non iniziano a spuntare sui suoi rami le prime foglioline verdi.

Un altro simpatico aneddoto relativo alla quercia ci trasferisce in Germania alla scoperta di un insolito Cupido. Nonostante ad oggi esistano tantissime app e siti che promettono di far trovare l’anima gemella in Germania ad Eutin esiste un albero a cui hanno assegnato anche un indirizzo postale perché questa fantastica quercia riceve circa 40 lettere d’amore al giorno da tutto il mondo, circa 1000 all’anno. La “Quercia dello sposo” trovatasi ad essere l’inconsapevole protagonista di una storia d’amore a lieto fine nel 1890, in cui i due innamorati, le cui famiglie non ne volevano sapere di farli mettere insieme, decisero di incontrarsi scambiandosi lettere che poi lasciavano in un nodo di questo albero; furono poi scoperti, ma quando furono lette tutte le loro lettere i genitori acconsentirono finalmente a farli sposare. Strana moda amorosa quella che dal 1927 vede persone di tutti i generi, alla ricerca dell’amore, scrivere all’indirizzo della quercia dello sposo con la speranza di trovare finalmente ciò che cercano….

Vi do l’indirizzo, non si sa mai:

Bräutigamseiche -Dodauer Forst – 23701 Eutin – Germania

In Toscana ci sono esemplari di quercia di grandissime dimensioni. Vi elenco due tra le più famose:

  • La quercia delle streghe a Collodi (esemplare di Quercus ruber-Farnia), sui cui rami queste donne amavano adagiarsi per le loro strane riunioni e sotto alla cui ombra sembra perfino che l’autore di Pinocchio amasse sedersi per la scrittura del suo libro, in cui la cita quado ci racconta che gli assassini vi impiccarono Pinocchio. Vanta circa 600 anni. Salvata dai nazisti che ne volevano fare legna da ardere, colpita poi da un fulmine negli anni Sessanta. Ha subito diversi danni anche a causa del continuo calpestio delle sue radici ad opera dei turisti.
  • La quercia delle Checche (checca è il nome con cui in alcune zone della Toscana si indica la gazza). Sembra che l’esemplare (Quercus petraea-rovere), vanti circa 380 anni. Questo albero ha ottenuto nel 2017 il riconoscimento MiBACT (primo monumento verde d’Italia). Purtroppo adesso non versa in buonissime condizioni a causa del crollo di alcuni rami, degli atti vandalici a cui è stata sottoposta ed i “soliti litigi” sulle competenze di chi deve o non preservarla……

Gli usi di questa bellissima pianta:

  • per il legno duro, resistente ed aromatico, si usa in edilizia, carpenteria e produzione di botti per il vino;
  • per la produzione di tannino, sostanza utilizzata per la concia delle pelli;
  • alcune delle sue specie producono ghiande commestibili che una volta venivano utilizzate come fonte di cibo da molte culture.

Per l’uso fitoterapico/medicinale: alcune delle sostanze contenute nella quercia hanno proprietà astringenti, emostatiche, antinfiammatorie, analgesiche del cavo orale. Utilizzato come decotto o infuso per lavarsi, diminuisce la sudorazione.  Sono piante visitate dalle api per la produzione di miele di melata, chiamato anche miele di bosco perché non deriva dalla raccolta del nettare dei fiori, ma da una sostanza dolce (la melata appunto) prodotta da alcuni insetti che succhiano ed elaborano la linfa per nutrirsene. A proposito di insetti, le loro punture sulla quercia provocano la creazione di strani oggetti che vi sarà sicuramente capitato di vedere: le galle. Eccone alcuni esempi:

Alla prossima puntata…

Marta Cantagalli
Accompagnatrice Escursionistica
Toscana

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Dalla FIE: Consegnati i presidi sanitari agli AE del Gruppo Camminiamo Insieme Coop

Nella consueta riunione organizzativa degli Accompagnatori Coop, avvenuta venerdì 28 febbraio 2025, sono stati distribuiti agli accompagnatori alcuni presidi per l’intervento di primo soccorso da portarsi nello zaino. L’auspicio è che non debbano mai servire!

In questa occasione si è ribadita l’importanza che ciascun capogita  ricordi agli escursionisti della propria giornata, di inserire nello zaino la scheda sanitaria, debitamente compilata,  consegnata ad inizio anno, in busta chiusa. Tale documento potrà essere di fondamentale importanza nel caso di infortunio, per la squadra  soccorso del 112.

Gabriele Parcelli
Accompagnatore Escursionistico
Gruppo Camminiamo Insieme Coop


La redazione del sito, dopo aver letto a proposito della scheda sanitaria ha ritenuto utile chiedere un supplemento di informazioni, per mettere i lettori a conoscenza nel dettaglio di una buona pratica che tutte le associazioni potrebbero valutare e adottare. Poche informazioni, ma importanti per l’anamnesi di un paziente ospedalizzato, conservate in una busta chiusa per tutelare la privacy degli escursionisti.

Un semplice accorgimento per la sicurezza dei partecipanti alle escursioni, sempre con la speranza che non debba mai servire.


Informazioni sanitarie personali

Nome………………………………….. cognome…………………………………………………

Nato/a il ……………………………..    luogo di nascita…………………………………………

Le informazioni seguenti riguardano il tuo stato di salute attuale e importanti malattie/traumi pregressi. Sarà tua cura conservare queste informazioni, in busta chiusa, e possibilmente in una busta impermeabile, nello zaino, a disposizione del solo personale sanitario che dovesse intervenire in soccorso.

Sei in buone condizioni di salute?

Si  (nessuna malattia o patologia)

No (indica da quale patologia sei attualmente affetto)

————————————————————————————————

Attualmente assumi regolarmente farmaci?

No

Si    (indica quali)

—————————————————————————————————-

In passato hai avuto malattie/traumi importanti?

No

Si   (indica quali)

————————————————————————————————–

Indica uno o più numeri telefonici da avvisare in caso di emergenza:

ICE 1——————————————- ICE 2—————————————-

Nota bene: nelle patologie indica anche se sei affetto da ipertensione, diabete, epilessia, allergie a farmaci.

Data……………………………………….                             Firma…………………………………

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Dalla FIE: Esposizione perfetta: cosa sono ISO, tempi e diaframmi nella fotografia all’aria aperta

Nel vasto universo della fotografia all’aria aperta, raggiungere l’esposizione perfetta rappresenta una sfida affascinante e, al contempo, un percorso di scoperta continua che unisce la tecnica alla sensibilità artistica. Quando si scatta una fotografia immersi nella luce naturale, ogni dettaglio – dall’abbagliante intensità dei raggi solari a quella tenue luminosità che preannuncia il crepuscolo – diventa parte integrante di un complesso equilibrio. In questo contesto, comprendere a fondo i parametri tecnici come ISO, tempi di posa e diaframmi non è solo essenziale per ottenere scatti tecnicamente impeccabili, ma diventa anche lo strumento con cui il fotografo esprime la propria visione del mondo. L’ISO, che misura la sensibilità del sensore alla luce, gioca un ruolo fondamentale: valori bassi sono preferibili in condizioni di forte luminosità, permettendo di mantenere un livello di dettaglio elevato e di minimizzare il rumore digitale, mentre in situazioni di luce debole è possibile aumentare l’ISO per catturare la scena in maniera corretta, pur accettando un lieve compromesso sulla purezza dell’immagine. Questo compromesso, però, non deve essere visto come un limite, bensì come una scelta consapevole che il fotografo deve saper bilanciare in base alle condizioni ambientali e all’effetto artistico desiderato.

I tempi di posa, o tempi di esposizione, rappresentano la durata durante la quale l’otturatore rimane aperto, consentendo alla luce di imprimersi sul sensore. Questo parametro offre al fotografo l’opportunità di giocare con il movimento: tempi lunghi possono trasformare il fluire dell’acqua in una cascata setosa o catturare il movimento dinamico delle nuvole in un cielo in continua evoluzione, donando un senso di fluidità e magia allo scatto; tempi brevi, invece, sono indispensabili per congelare il movimento, immortalando istanti di azione in modo nitido e preciso, come il battito d’ali di un uccello o il rapido movimento di un animale selvatico. La scelta del tempo di posa ideale dipende dalla scena e dal messaggio che si vuole trasmettere: un fotografo che desidera comunicare la calma e la serenità di un paesaggio al tramonto potrebbe optare per un’esposizione più lunga, mentre chi intende catturare la vitalità e l’energia di un momento fugace dovrà prediligere tempi di posa molto brevi. A questo proposito è significativa la foto di copertina dell’articolo, che mostra una fotografia con tempi di esposizione lunghissimi del Canale della Manica.

Il diaframma, espresso in f-stop, regola l’apertura dell’obiettivo, influenzando direttamente la quantità di luce che raggiunge il sensore e la profondità di campo dell’immagine. Un diaframma ampio, contrassegnato da valori numerici bassi, permette di isolare il soggetto sfocando lo sfondo e creando quel caratteristico effetto bokeh che dona intensità ed emotività all’immagine. Al contrario, un diaframma ridotto, indicato da valori numerici alti, garantisce una maggiore profondità di campo, rendendo nitidi sia il soggetto principale che lo scenario circostante – una scelta ideale quando si desidera catturare la vastità di un paesaggio e preservarne ogni dettaglio. La decisione sul diaframma va quindi ponderata in funzione del soggetto, del contesto ambientale e del risultato estetico che si intende ottenere, facendo spesso emergere la necessità di un compromesso tra creatività e precisione tecnica.

La vera magia, tuttavia, si manifesta nell’armoniosa interazione di questi tre elementi, che insieme formano il cosiddetto triangolo dell’esposizione. Ogni modifica apportata a uno di questi parametri influenza in modo diretto gli altri, costringendo il fotografo a un costante gioco di compensazioni. Per esempio, in una luminosa giornata estiva in cui la luce solare è intensa, si può decidere di utilizzare un ISO molto basso per mantenere la massima qualità dell’immagine; di conseguenza, per evitare una sottoesposizione, è necessario regolare il diaframma in modo da permettere l’ingresso di una quantità sufficiente di luce, magari aprendolo di più, oppure allungare leggermente il tempo di posa. Al contrario, in condizioni di luce soffusa, come durante un’alba o un tramonto, l’uso di un ISO più elevato diventa quasi inevitabile per garantire un’esposizione corretta, ma ciò richiede una gestione attenta per non introdurre un eccesso di granulosità che potrebbe intaccare la qualità dell’immagine. La capacità di valutare in tempo reale le condizioni di luce e di agire di conseguenza, adattando in maniera dinamica ciascun parametro, rappresenta una competenza che si affina con l’esperienza e lo studio, diventando il segreto per ottenere scatti che siano non solo tecnicamente perfetti, ma anche in grado di trasmettere emozioni e raccontare storie.

Nel contesto della fotografia naturalistica, dove la luce è un elemento in costante mutamento, la padronanza del triangolo dell’esposizione si traduce in una continua sfida intellettuale e creativa. Durante una passeggiata in montagna, ad esempio, il fotografo si trova a dover affrontare non solo il contrasto tra le zone illuminate e quelle in ombra, ma anche il rapido mutare delle condizioni meteorologiche: una leggera foschia mattutina, il bagliore intenso del sole a mezzogiorno, il delicato chiaroscuro del tardo pomeriggio. Ognuna di queste situazioni richiede una diversa combinazione di ISO, tempi e diaframmi, e la capacità di adattarsi rapidamente diventa un elemento chiave per immortalare la bellezza effimera del paesaggio. Non si tratta dunque soltanto di applicare regole fisse, ma di saper leggere e interpretare la luce, anticipando le variazioni e sfruttando ogni opportunità per creare immagini che siano autentiche e cariche di significato.

L’evoluzione tecnologica degli strumenti fotografici ha reso accessibili molte funzioni automatiche, come le modalità di scatto in priorità di apertura o di tempo, che possono essere utili a chi sta iniziando il proprio percorso. Tuttavia, la vera eccellenza risiede nella capacità di passare dalla modalità automatica a quella manuale, dove il fotografo diventa il vero artefice della propria opera. In questa modalità, ogni scatto si trasforma in un laboratorio sperimentale, in cui la conoscenza teorica si integra con l’esperienza pratica per dare vita a composizioni uniche e personalizzate. La sfida consiste nel trovare il giusto equilibrio tra la tecnica e l’ispirazione, tra la necessità di rispettare i parametri tecnici e quella di lasciarsi guidare dall’istinto creativo. È in questo contesto che il concetto di “esposizione perfetta” assume una valenza quasi poetica, diventando l’espressione della volontà di catturare un momento unico e irripetibile, dove luce e ombra si fondono in un’armonia visiva che va oltre il semplice atto del fotografare.

La pratica costante, l’analisi attenta dei propri scatti e la sperimentazione sono gli strumenti indispensabili per affinare questa arte. Ogni errore, ogni scatto imperfetto, rappresenta un’opportunità di apprendimento che permette di comprendere meglio come reagire alle condizioni ambientali e come sfruttare al massimo le potenzialità della propria fotocamera. Con il tempo, il fotografo impara a percepire la luce in modo quasi intuitivo, a riconoscere quel delicato gioco di contrasti che può trasformare una semplice immagine in un’opera d’arte. Il risultato finale non è solo un’immagine ben esposta, ma un racconto visivo che parla di paesaggi, emozioni e storie, capaci di trasmettere la maestosità della natura e l’unicità di ogni istante.

In definitiva, l’arte dell’esposizione perfetta è il risultato di una sintesi complessa e affascinante di conoscenza tecnica e sensibilità artistica. La gestione accurata degli ISO, dei tempi di posa e dei diaframmi permette di superare le limitazioni imposte dalle condizioni ambientali e di esprimere al meglio la propria creatività. Ogni fotografia diventa così una testimonianza autentica del dialogo continuo tra il fotografo e il mondo che lo circonda, un percorso di esplorazione in cui ogni scatto rappresenta un tassello fondamentale di un racconto visivo in continua evoluzione. La bellezza della fotografia all’aria aperta risiede proprio in questa capacità di trasformare la realtà in emozione, di catturare un attimo di luce e di renderlo eterno. Con passione, dedizione e una costante voglia di migliorarsi, ogni fotografo può scoprire il piacere di dominare il triangolo dell’esposizione, trasformando ogni sfida tecnica in un’opportunità per creare immagini che siano al tempo stesso precise, evocative e profondamente umane.

Scoprire e sperimentare le infinite possibilità offerte dalla combinazione di ISO, tempi e diaframmi è un viaggio che non finisce mai, una continua ricerca della perfezione che si arricchisce di nuove sfumature ad ogni scatto. In questo percorso, la luce diventa il linguaggio universale con cui raccontiamo il nostro mondo, una poesia visiva che unisce la scienza alla bellezza e la tecnica all’emozione. Attraverso il controllo attento di questi parametri, si è in grado di catturare non solo immagini, ma vere e proprie esperienze, capaci di raccontare storie uniche e irripetibili. Ogni fotografia, curata nei minimi dettagli, diventa un messaggio che parla di passione, di arte e di un costante desiderio di esplorare e comprendere la realtà, trasformando il semplice atto del fotografare in una forma d’arte che emoziona e ispira.

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Dalla FIE: Abbigliamento escursionismo e marcia o camminata di regolarità

Consigli pratici per abbigliamento tecnico e scarpe adatti ad Escursioni, Trekking e per la disciplina sportiva FIE “Marcia Alpina di Regolarità”: Comfort e Sicurezza in Natura

Praticare escursioni, trekking oppure la marcia o camminata di regolarità significa sostanzialmente immergersi nella natura, esplorare sentieri sconosciuti, affrontare sfide fisiche e godere dei paesaggi mozzafiato che solo l’ambiente montano può offrire. Tuttavia, per vivere questa esperienza in totale sicurezza e comfort, è fondamentale scegliere con cura l’abbigliamento tecnico e le scarpe giuste. L’abbigliamento e le calzature non sono solo una questione di stile, ma sono strumenti che permettono di affrontare al meglio le condizioni ambientali e le difficoltà del terreno, migliorando la performance e riducendo il rischio di infortuni. In questo contributo, esploreremo le caratteristiche principali dell’abbigliamento e delle scarpe ideali per praticare l’Escursionismo in tutte le sue declinazioni.

 1. L’ Abbigliamento Tecnico: cosa indossare per stare bene e sempre in comfort?

a. Giacche e giubbotti impermeabili e traspiranti

Le condizioni atmosferiche in montagna possono variare drasticamente nel corso della giornata, con piogge improvvise, vento forte e temperature che oscillano. È quindi essenziale indossare un buon giubbotto o una giacca impermeabile e traspirante. I materiali più adatti per queste giacche sono il Gore-Tex, il Paclite o il Dermizax, perchè offrono una protezione efficace contro l’acqua mantenendo una buona traspirabilità, permettendo così al sudore di evaporare. Inoltre, un buon capospalla per questo genere di attività all’aria aperta deve essere leggero, ma allo stesso tempo resistente a intemperie come la neve o la pioggia. Questi suggerimenti naturalmente valgono anche nel praticare la marcia di regolarità durante la stagione autunnale/invernale (durante le ultime prove del tradizionale campionato) oppure a inizio stagione agonistica, specie quando il tempo in questi periodi è incerto e può capitare che si disputino le prove sotto la pioggia o al freddo.

b. Strati per la termoregolazione

Una delle regole fondamentali per un’escursione o lo sport praticato in montagna è quella dei “3 strati”. Questo sistema consente di adattarsi alle variazioni di temperatura e di attività durante la camminata. Il primo strato, chiamato “strato di base“, è a contatto diretto con la pelle e deve essere in materiali sintetici (come il poliestere) o in lana merino, che garantiscono un’ottima gestione dell’umidità. Il secondo strato, lo “strato medio“, serve per trattenere il calore ed è spesso costituito da pile o materiali sintetici come il Primaloft. Infine, il terzo strato è lo “shell“, ovvero una giacca impermeabile e antivento.

c. Pantaloni

I pantaloni devono essere resistenti, traspiranti e capaci di adattarsi ai cambiamenti climatici. I modelli più adatti sono quelli con tessuti resistenti agli strappi, come il nylon o il poliestere, ma allo stesso tempo leggeri e comodi per consentire libertà di movimento. I pantaloni con cerniere sui fianchi, che consentono di trasformarsi in pantaloncini, sono molto utili per adattarsi alle temperature più calde. In caso di escursioni in ambienti freddi o montani, i pantaloni imbottiti o con una leggera fodera in pile possono essere una scelta efficace. Per quanto riguarda la marcia o camminata di regolarità, durante la stagione primaverile ed estiva si possono utilizzare i tipici pantaloni da Trail running, come ad esempio i pantaloni a 3 quarti oppure pantaloni corti anche a mezza coscia, sempre in tessuto traspirante, ma comodi per permettere di camminare senza intralci.

d. Calze tecniche

Le calze da indossare sono un altro aspetto fondamentale da considerare. Devono essere realizzate in materiali sintetici o in lana merino, che aiutano a mantenere i piedi asciutti e caldi. Le calze tecniche offrono anche un buon supporto al piede, riducendo il rischio di vesciche e migliorando il comfort durante le lunghe camminate. È importante scegliere calze senza cuciture e con una buona protezione nelle zone più sensibili come il tallone e la pianta del piede.

e. Cappelli, guanti e occhiali da sole

Un altro dettaglio importante riguarda gli accessori: il cappello deve proteggere dal sole e, se necessario, dalle intemperie. Durante la stagione autunnale e invernale i guanti, leggeri e traspiranti, sono sempre utili in caso di escursioni in montagna in ambienti freddi, mentre gli occhiali da sole con protezione UV sono essenziali per proteggere gli occhi da raggi solari riflessi sulle superfici neve o rocciose.

2. Quali scarpe per l’Escursionismo?

Le scarpe sono uno degli equipaggiamenti più importanti per qualsiasi attività all’aria aperta, e la scelta delle scarpe giuste è fondamentale per affrontare in sicurezza sentieri impervi e terreni difficili o percorsi tecnici.

Una buona scarpa da trekking deve garantire stabilità, protezione, resistenza e comfort durante tutta l’escursione.

a. Tipologia di scarpe per l’Escursionismo

Sia che venga praticato l’Escursionismo nelle sue varie forme che la marcia o camminata di regolarità, un’attenzione particolare va’ sempre riservata alla scelta delle scarpe da indossare, a seconda del tipo di terreno e dell’intensità dell’attività. 

In generale è sempre meglio orientarsi per un modello che possa offrire supporto alla caviglia, proteggendo il piede dagli urti e dai detriti.

In caso di avventura in alta montagna o nel caso di competizioni di marcia di regolarità particolarmente lunghe e impegnative (i campionati per pattuglie, ad esempio), è suggeribile orientarsi su scarponi da trekking, perché consentono di affrontare terreni accidentati, trekking con zaini pesanti, eventuale attraversamento di superfici fangose o bagnate.

b. Caratteristiche delle scarpe

Le scarpe da trekking devono possedere alcune caratteristiche fondamentali per garantire un’ottima performance.

La suola deve essere rigida, ma flessibile nella parte anteriore, per adattarsi ai movimenti del piede. Inoltre, la gomma con un buon grip (come la Vibram) aiuta a garantire aderenza su terreni bagnati e scivolosi. L’imbottitura interna è fondamentale per migliorare il comfort, evitando la formazione di vesciche. La presenza di una membrana impermeabile, come il Gore-Tex, è fondamentale per mantenere il piede asciutto in caso di pioggia o attraversamenti di torrenti. Infine la ventilazione, consentita dal mesh traspirante, nonostante l’impermeabilità, serve a evitare che il piede sudi eccessivamente.

Conclusioni

Sia che si tratti di un’escursione di un giorno, di un trekking più impegnativo o della marcia o camminata di regolarità, la scelta dell’abbigliamento tecnico e delle scarpe giuste è cruciale per vivere l’esperienza in montagna in totale sicurezza e comfort. Investire in capi e scarpe di qualità non solo migliora la performance, ma riduce anche il rischio di infortuni e aumenta il piacere di esplorare la natura. Con l’attrezzatura adatta, ogni camminata diventa un’avventura entusiasmante e sicura!

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Dalla FIE: Terra d’Otranto e Salento, un binomio inscindibile

La parte meridionale della Puglia si divide in tre zone: Murge, Tavoliere di Lecce o «piana messapica» e Serre Salentine. Alla scoperta delle ultime due zone poste a Sud Est dell’Italia, affascinato più dal passato che dal presente, mi lascio accompagnare da quegli autori antichi i quali, descrivono soprattutto ciò che hanno visto e vissuto, piuttosto che, ciò di cui sono venuti a conoscenza.

Tra questi autori, nel 1511, Antonio De Ferraris detto il Galateo e autore dell’opera De situ Japygiae, descrive la penisola più ad oriente dell’Italia nella quale ha avuto i natali ed ha vissuto gran parte della sua vita. Un’opera incentrata sull’affermazione che: la descrizione di una regione può essere adeguatamente fatta solo da chi in «ea regione diu versatus aut natus fuerit» (…).

All’opera di cui sopra è seguita Descrizione, origini e successi della Provincia di Terra d’Otranto scritta dal medico filosofo Geronimo Marciano la quale, completa ed estende l’opera del De Ferraris anche in considerazione che l’agro materano a quell’epoca apparteneva a questa Provincia.

Il territorio, l’ambiente e le rocce.

Generalmente il suolo, in questa provincia, è calcare spesso coltivato ad olivi, vigneti e, in passato, anche cotone e tabacco. Inoltre prosperava il gelso, nonostante fosse scarsa la coltura della seta.

In questa provincia prospera anche il commercio e l’industria, in considerazione dell’abbondante pesce che viene offerto dalla costa e, in passato era anche particolarmente fiorente l’industria del cotone, considerata la sua piantagione in gran quantità. Nel leccese, invece, era fiorente la coltivazione del tabacco che veniva conciato in loco presso i tanti tabacchifici. Molto importanti, inoltre, i porti di Gallipoli per il commercio di oli e quello di Taranto per il commercio di grani duri, teneri, mischi.

Tra gli scritti antichi nei quali si fa riferimento a questa provincia, segnaliamo inoltre:

  • Nuova Enciclopedia Popolare Italiana ovvero Dizionario Generale di Scienze, Lettere, Arti, Storia, Geografia ecc. ecc., Torino – Società l’Unione Tipografico-Editrice 1870
  • Telemaco, Fénélon;
  • Viaggio di Platone in Italia, Vincenzo Cuoco

In seguito all’istituzione dei giustizieri, ai tempi di Federico II, la Terra d’Otranto costituiva il settimo giustizierato.

In questo territorio, a partire dai primi anni Novanta del secolo scorso, una serie di itinerari messi a punto dall’Associazione SpeleTrekkingSalento di Lecce, oggi Speleo Trekking LiberaMente Peregrinando, ha accompagnato e continua ad accompagnare alla scoperta di angoli nascosti e paesaggi suggestivi che meritano di essere conosciuti, salvaguardati e valorizzati.

Il Delegato Territoriale FIE per la Puglia, Fernando Alemanno, invita a percorrere i sentieri lungo la nostra Regione fino a raggiungere il Salento.

[Nella immagine in alto, un’antica mappa della zona]

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Dalla FIE: Fare rete per valorizzare i territori: l’esperienza dei “Cammini e Sentieri della Calabria”

In un’epoca in cui la frammentazione delle iniziative rischia spesso di indebolire anche le migliori progettualità, l’esperienza dei “Cammini e Sentieri della Calabria” rappresenta un esempio virtuoso di sinergia e visione condivisa.

Nato dal desiderio di mettere in connessione i principali attori dell’escursionismo calabrese, il progetto ha saputo trasformare il dialogo in un processo strutturato, culminato nella firma di un Protocollo d’Intesa nel 2022, che ha ufficializzato la nascita della Rete dei Cammini e dei Sentieri di Calabria.

Questo percorso è stato guidato dal Laboratorio LOGICA dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, che si è proposto come luogo di sintesi tra mondo accademico, associazionismo e istituzioni.

Attraverso un intenso ciclo di incontri, il laboratorio ha favorito il confronto tra realtà attive nel settore del walking tourism, creando uno spazio di scambio per idee, esperienze e buone pratiche. Ne è emersa una prospettiva condivisa in grado di unire competenze scientifiche e conoscenze del territorio.

Il cuore dell’iniziativa è la convinzione che la valorizzazione dei cammini non sia solo una questione di tracciati o segnaletica, ma un progetto culturale e territoriale complesso, capace di incidere sullo sviluppo sostenibile della regione. La rete ha infatti perseguito una visione coerente con i principi dell’Agenda 2030, promuovendo forme di mobilità dolce e tutela del paesaggio come leva per lo sviluppo locale.

Questa esperienza ha avuto un’importante consacrazione nel convegno scientifico che ha preceduto la firma del protocollo, offrendo un’occasione pubblica per condividere il lavoro svolto e rafforzare il patto tra i protagonisti del territorio.

Ma il tassello finale – e fondamentale – di questo percorso è rappresentato dalla recente pubblicazione del volume “Cammini e Sentieri di Calabria. Percorsi di sviluppo territoriale”, a cura del prof. Domenico Gattuso, edito da Franco Angeli.

Il libro, strutturato in quattro parti, propone un approccio scientifico alla tematica dei cammini: dalla mobilità escursionistica sostenibile all’analisi delle componenti culturali e territoriali, fino alla descrizione dettagliata dei principali percorsi calabresi.

Tra i cammini censiti, spicca anche il Sentiero Europeo E1, un itinerario internazionale di straordinario valore simbolico e culturale, che attraversa l’Europa da Capo Nord a Capo Passero e che in Calabria percorre territori ricchi di storia, natura e identità locali. La sua presenza nella rete regionale conferma la centralità strategica della Calabria nel panorama escursionistico europeo.

In conclusione, “fare rete” non è un semplice slogan: è un processo faticoso ma indispensabile, che richiede ascolto, coordinamento e visione. L’esperienza maturata in Calabria dimostra come, attraverso il dialogo tra università, associazioni e istituzioni, sia possibile costruire percorsi di sviluppo concreti e duraturi.

Paolo Latella
Presidente CRCalabria

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Dalla FIE: Alla ricerca dello scatto iconico: studiare la prospettiva e la profondità di campo

Nel vasto universo della fotografia naturalistica la ricerca dello scatto iconico si configura come un percorso personale e professionale, una continua sfida che porta il fotografo a esplorare e reinterpretare la realtà attraverso la lente della propria sensibilità artistica. In questo cammino, studiare con attenzione la prospettiva e la profondità di campo diventa essenziale per trasformare una scena apparentemente ordinaria in un’opera d’arte che cattura, in un solo istante, l’essenza del paesaggio e l’emozione che lo anima. Ogni uscita sul campo diventa così un laboratorio creativo in cui il fotografo si confronta con il gioco di luci e ombre, con la disposizione degli elementi naturali e con le infinite possibilità di composizione offerte dall’ambiente che lo circonda. L’abilità di posizionare la fotocamera in modo strategico, di scegliere l’angolazione giusta e di modulare la profondità di campo, permette di enfatizzare quei dettagli che altrimenti rischierebbero di perdersi in una riproduzione meccanica della realtà. È in questo contesto che la prospettiva assume il ruolo di linguaggio visivo, capace di dare vita a composizioni dinamiche e stratificate, in cui il dialogo tra primo piano, piani intermedi e sfondo crea un senso di spazialità e di movimento che invita l’osservatore a immergersi nella scena.

 

 

La gestione della profondità di campo è un aspetto altrettanto determinante: essa consente di selezionare con precisione quali elementi mantenere nitidi e quali, invece, lasciare in un delicato gioco di sfocature. Regolando l’apertura del diaframma, il fotografo può optare per una resa a campo ridotto, in cui il soggetto si distacca dal contesto grazie a un effetto bokeh che ne accentua l’importanza, oppure per una messa a fuoco estesa che abbraccia l’intera scena, rendendo ogni dettaglio parte integrante di un racconto visivo complesso. Questa scelta, che richiede una profonda conoscenza tecnica, diventa anche un atto di comunicazione estetica: decidere se isolare o integrare gli elementi del paesaggio significa infatti orientare lo sguardo dell’osservatore, guidandolo in un percorso emozionale che parte dal particolare per giungere al quadro complessivo.

Il dialogo tra luce e ombra rappresenta un ulteriore strumento attraverso cui plasmare la percezione della scena. Le variazioni di luminosità, in particolare nei momenti del giorno in cui la luce assume tonalità particolarmente calde o fredde, offrono l’opportunità di creare contrasti intensi e sfumature delicate. In situazioni di luce morbida, come quelle che si registrano durante l’ora d’oro o l’ora blu, la scelta di una prospettiva accurata e la regolazione della profondità di campo possono esaltare quei dettagli che rendono unica l’atmosfera del luogo. L’abilità nel leggere e anticipare questi mutamenti è il frutto di anni di esperienza e di studio, che porta il fotografo a sviluppare un istinto quasi innato per individuare l’istante in cui ogni elemento – dal paesaggio imponente al minimo particolare – converge per raccontare una storia.

Un ulteriore aspetto fondamentale è rappresentato dalla scelta dell’obiettivo e dalla conoscenza delle sue caratteristiche intrinseche. L’uso di un grandangolo, ad esempio, permette di catturare ampi spazi e di enfatizzare le linee di fuga, accentuando la sensazione di profondità e di vastità. Al contrario, un teleobiettivo può comprimere la scena, avvicinando visivamente gli elementi e creando effetti quasi pittorici, in cui la sovrapposizione di dettagli diventa il fulcro della composizione. In questo contesto il fotografo deve saper bilanciare la tecnica con l’intuizione, scegliendo non solo in base alle condizioni ambientali ma anche in funzione della storia che intende raccontare. La messa a fuoco manuale, seppur richiedendo un’attenzione costante, offre la possibilità di controllare ogni aspetto della resa dell’immagine, permettendo di sfruttare appieno il potenziale creativo di ogni scatto.

La modalità manuale, infatti, rappresenta uno strumento indispensabile per chi desidera andare oltre la semplice riproduzione della realtà e sperimentare nuove forme espressive. Attraverso il controllo diretto di parametri come la velocità dell’otturatore, l’apertura del diaframma e l’ISO, il fotografo può modulare la resa della luce e ottenere effetti particolari, come la creazione di scie luminose o il congelamento del movimento. Queste tecniche, unite ad una profonda conoscenza del funzionamento degli strumenti fotografici, permettono di mettere in scena situazioni complesse e di ottenere immagini che non sono solo tecnicamente corrette, ma anche cariche di significato. Ogni regolazione diventa un atto di scelta artistica, un modo per tradurre in immagini la propria visione del mondo e per comunicare, in maniera sottile e raffinata, le emozioni che il paesaggio riesce a evocare.

Il percorso verso lo scatto iconico è dunque costellato di momenti di sperimentazione e di scoperta, in cui la volontà di superare i limiti del convenzionale si traduce in un continuo processo di apprendimento. Non esiste una formula unica per catturare quell’immagine che rimane impressa nella memoria: ogni situazione richiede un approccio diverso, una diversa interpretazione delle leggi della fisica e dell’arte. È proprio questa diversità di approcci a rendere la fotografia un’arte in continua evoluzione, dove la ricerca personale si intreccia con l’innovazione tecnica e la voglia di raccontare il mondo in modo autentico. Il fotografo, attraverso il confronto costante tra teoria e pratica, impara a riconoscere quali elementi valorizzare e quali invece lasciar emergere attraverso un delicato gioco di sfocature e di messa a fuoco, trasformando ogni uscita in un’esperienza unica e irripetibile.

Considerare la prospettiva come un elemento narrativo significa, in ultima analisi, abbracciare una visione che va oltre la mera riproduzione del paesaggio. È un invito a guardare il mondo con occhi nuovi, a scoprire le geometrie nascoste e i ritmi naturali che caratterizzano ogni ambiente. La scelta della prospettiva, infatti, permette di esaltare determinati aspetti, creando un dialogo tra il visibile e l’invisibile, tra il reale e l’immaginato. Tale approccio richiede una sensibilità acuta e una capacità di osservazione che si affina col tempo, ma che diventa presto un elemento distintivo del lavoro del fotografo. È questa attitudine a sperimentare, a mettersi in gioco e a cercare sempre nuove angolazioni che, in definitiva, dà vita a immagini capaci di parlare direttamente all’anima di chi le osserva.

In un’epoca in cui la tecnologia offre strumenti sempre più sofisticati, non bisogna dimenticare che la forza della fotografia risiede soprattutto nella capacità di raccontare storie. Ogni scatto è il risultato di un’attenta pianificazione, di scelte tecniche e creative che si intrecciano per dare vita a un’immagine dal forte impatto emotivo. Studiare la prospettiva e la profondità di campo diventa così un percorso di crescita personale e professionale, in cui ogni errore e ogni successo contribuiscono a definire uno stile unico e riconoscibile. La passione per la fotografia non si esaurisce nella semplice capacità di riprodurre fedelmente una scena, ma si manifesta nella continua ricerca di nuove modalità espressive, nella voglia di sperimentare e di superare i confini del conosciuto.

Attraverso l’analisi delle tecniche e la pratica costante, il fotografo impara a valorizzare ogni elemento del paesaggio, trasformando il quotidiano in straordinario e donando nuova vita anche ai soggetti più comuni. Il processo creativo, fatto di tentativi, sperimentazioni e momenti di pura ispirazione, si traduce in immagini che, oltre a essere esteticamente piacevoli, sono in grado di raccontare storie, emozioni e sensazioni profonde. È questa fusione tra tecnica e passione che consente di raggiungere quella perfezione, quella magia che trasforma ogni scatto in un frammento di eternità, capace di rimanere impresso nella memoria di chi lo osserva.

Alla fine, la ricerca dello scatto iconico non è altro che un continuo viaggio di scoperta, un percorso fatto di studio, pratica e tanto amore per il mondo che ci circonda. Ogni immagine diventa un invito a esplorare nuove prospettive, a mettere in discussione i limiti della tecnica e a celebrare la bellezza in tutte le sue forme. La profondità di campo e la scelta della prospettiva, lungi dall’essere meri strumenti tecnici, si rivelano essere veri e propri mezzi espressivi che permettono di comunicare in modo autentico e diretto, creando un ponte tra il fotografo e lo spettatore. In questo continuo dialogo, ogni dettaglio, ogni gioco di luce e ombra si trasforma in una nota fondamentale di una sinfonia visiva, capace di raccontare, in maniera unica ed irripetibile, la bellezza del nostro mondo.

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