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Dalla FIE: Come il cinema racconta la montagna

Accogliente o insidiosa, selvaggia o suggestiva, protetta o inquinata: la montagna ha sempre destato il fascino di esploratori, impavidi avventurieri o individui alla ricerca di quel silenzio sconosciuto alla grande città. Questo rapporto multiforme tra umanità ed ecosistema montano è stato oggetto di riflessione da parte del cinema, spesso declinato o entro la narrazione della montagna come limite da superare, o entro il racconto di formazione che si sviluppa entro questo ambiente naturale. In altri casi ancora, la montagna – specialmente durante la stagione invernale – è un ambiente di passaggio attraverso il quale i personaggi camminano a stento, forse già provati da un lungo viaggio nel quale hanno attraversato altri luoghi.

Fra le prime rappresentazioni cinematografiche della montagna occorre ritornare nella Germania degli Anni Venti, periodo in cui si consolida il genere del Bergfilm – letteralmente il “film di montagna” – volto a immortalare in immagini il mito della conquista delle vette più alte attraverso uno stile che mescola l’avventura e il melodramma. Il suo rappresentante più celebre resta Arnold Fanch, alpinista e appassionato degli sport d’alta quota, che con l’aiuto di cameraman abilissimi quali Hans Schneeberger o Sepp Allgeier ha realizzato riprese all’aperto anche durante condizioni meteorologiche avverse e su terreni impervi, portando all’attenzione del grande pubblico il fascino dello sci e la bellezza della montagna europea.

In contemporanea a questa rappresentazione austera del paesaggio montano, dagli Stati Uniti d’America Charles Chaplin racconta tale paesaggio attraverso il proprio linguaggio. La sua rappresentazione cinematografica della montagna nel film La febbre dell’oro (1925) ha acquisito, nel corso dei decenni, uno status iconico nel mondo del cinema: il travaglio degli impavidi cercatori d’oro sulle montagne dell’Alaska viene narrato attraverso il punto di vista del Vagabondo, anch’egli alla ricerca delle agognate pepite e del riscatto sociale. Nel momento in cui una tormenta gli impedisce di proseguire il suo cammino, il Vagabondo è costretto a trovare riparo in un rifugio: le avversità della montagna, con il suo corredo di venti freddi e di neve altissima, che comportano il razionamento dei viveri, sono svuotati della loro carica drammatica e sortiscono un effetto comico.

L’ostilità della montagna

L’ostilità della montagna ha sempre attirato numerosi registi e sceneggiatori, affascinati dalle possibilità offerte da storie narrate tra le difficoltà dei ghiacci, delle temperature estreme, delle distese infinite di neve fresca. Questa fascinazione meglio si comprende quando la finzione incontra la realtà: tra gli innumerevoli esempi, il più noto resta il disastro aereo delle Ande che ha coinvolto la caduta di un velivolo di linea il 13 ottobre 1972, nonché la successione di eventi drammatici terminati con il salvataggio dei sopravvissuti entro la vigilia di Natale dello stesso anno. Oltre alla prima trasposizione realizzata pochi anni dopo il tragico evento – I sopravvissuti delle Ande (René Cardona, 1976) – l’adattamento più celebre resta Alive – Sopravvissuti (Frank Marshall, 1993), film che non risparmia la rappresentazione sia degli elementi più crudi della tragedia, sia della montagna stessa e della sua coltre di gelo e neve perenne. La risonanza dell’evento, unitamente ai dettagli più cruenti che hanno permeato la memoria collettiva – come gli episodi di cannibalismo – si è protratta fino alla contemporaneità, con La società della neve (Juan Antonio Bayona, 2023), lungometraggio targato Netflix scelto come film di chiusura dell’80a edizione del Festival di Venezia. Anche Everest (Baltasar Kormákur, 2015), scelto come film d’apertura alla 72a edizione della rassegna veneziana, è un lungometraggio che ricostruisce con minuzia una disastrosa spedizione sul Tetto del Mondo avventura nel 1996 e raccontata in diversi saggi che tentano di ricostruire l’accaduto. Una vicenda che ha avuto dei risvolti più tragici rispetto a quella narrata da Ascensione (Ludovic Bernard, 2017), lungometraggio che narra, invece, l’impresa di Nadir Dendoune, alpinista principiante che nel 2008 ha inaspettatamente raggiunto la vetta dell’Everest.

Il topos della sopravvivenza fra la neve delle cime più impervie è ricorrente in molti film ambientati nelle catene montuose di diversi continenti. Nel film Il domani tra di noi (Hany Abu-Assad, 2017), per esempio, vengono ripresi gli stessi stilemi dei tre lungometraggi ispirati al disastro aereo del 1972. A causa di un ictus il pilota alla guida dell’aeroplano a elica su cui viaggiano Ben e Alex non riesce più a controllare il velivolo, che si schianta a terra. Sopravvissuti all’impatto, i due protagonisti dovranno trovare una soluzione tra le montagne innevate dello stato del Colorado. Come Il domani tra di noi, anche Revenant – Redivivo (Alejandro González Iñárritu, 2015) racconta una storia di sopravvivenza. Dopo essere stato attaccato da un’orsa, Hugh Glass, abbandonato dai compagni di esplorazione, deve sopravvivere fra i ghiacci del North Dakota fronteggiare eventi meteorologici estremi. Oltre a essere un’indagine sul tema della vendetta personale, il film di Iñárritu è costellato di immagini che rappresentano con crudo realismo la maestosità e la pericolosità delle terre selvagge situate tra il Canada e l’Argentina, in particolare la Columbia Britannica, le Montagne Rocciose Canadesi e la Terra del Fuoco argentina, luoghi dove sono state effettuate le riprese.

Raccontare le sfide umane

Se la montagna è un ambiente ostile a chi vi si ritrova casualmente, e tenta di sopravvivere alle difficoltà della stagione più fredda, essa è anche un banco di prova per impavidi avventurieri, le cui imprese sono state immortalate dalla Settima Arte. Molti documentari, in particolare, narrano imprese di alpinisti, scalatori o free climbers che hanno superato i propri limiti, stabilendo record inediti. Free Solo – Sfida estrema (Jimmy Chin, Elizabeth Chai Vasarhelyi, 2018) ripercorre la storica scalata dell’arrampicatore statunitense Alex Honnold sulla parete di El Capitan, nel Parco Nazionale di Yosemite, avventura nel giungo del 2017. Blood on the Crack (Heather Mosher, 2019) documenta le scalate più ardue di Kevin Jorgeson e Jacob Cook sulla catena canadese dei Bugaboos, e in particolare l’ascesa del Tom Egan Memorial Route, scalata nota per essere fra le più strazianti in assoluto. Anche un film come K2 – L’ultima sfida (Franc Roddam, 1991) mette in scena, con mezzi altamente spettacolari, il superamento dei limiti umani attraverso la storia di Taylor e Harold, due alpinisti che si cimentano nell’ardua scalata del K2, il picco più inaccessibile al mondo, incarnando quell’ancestrale scontro tra esseri umani e natura incontaminata.

Tuttavia durante queste sfide gli esseri umani non hanno sempre la meglio. Nell’ambito del cinema di finzione tra gli esempi più noti si trova 127 ore (Danny Boyle, 2010), film che ricostruisce la vera impresa di Aron Ralston, alpinista statunitense che nell’aprile del 2003 rimane intrappolato in un canyon dello Utah e, dopo 127 ore, è costretto ad amputarsi un braccio per poter sopravvivere. Nonostante l’ambientazione del film di Boyle non coincida con l’immaginario montano in senso stretto (o in senso europeo), il lungometraggio elabora una riflessione sulla resilienza degli esseri umani in ambienti sconosciuti che non lasciano spazio a errori o distrazioni. Lo stesso tema viene affrontato da Cliffhanger (Renny Harlin, 1993), thriller con protagonista Sylvester Stallone nei panni di uno scalatore soprannominato Cliffhanger, il quale, a causa di un incidente, è ritenuto responsabile della morte della giovane Sarah durante un’escursione ad alta quota sulle Montagne Rocciose americane.

La montagna come percorso di riscoperta dei valori umani

Ma la montagna non è solo luogo di imprese mozzafiato. Molti film ambientati tra vette altissime e catene montuose infinite mostrano come la montagna possa essere l’ambiente ideale ove l’essere umano indaga la propria natura, riflette sui propri dilemmi interiori e riscopre sé stesso. Il recente film Le otto montagne (Felix Van Groeningen, Charlotte Vandermeersch, 2022), basato sull’omonimo romanzo del 2017 di Paolo Cognetti, ripercorre la trentennale amicizia tra Pietro, un ragazzo di città, e Bruno, un ragazzo di montagna: la loro amicizia, nata durante l’estate del 1984 nella Val d’Ayas, ove Bruno è nato e cresciuto, si allenta e si consolida nel corso del tempo, mentre i due ragazzi, durante l’inverno, crescono e fanno esperienze totalmente differenti. È la morte del padre di Pietro a consentire ai ragazzi di riavvicinarsi: nelle ultime volontà dell’uomo, infatti, vi è la ricostruzione di un vecchio rifugio montano, nella valle di Bruno, da parte di entrambi i protagonisti; ed è proprio questo atto di ricostruzione a consentire ai due amici di riscoprirsi a vicenda. La montagna, in questo senso, non è un mero fondale alle vicende dei protagonisti, bensì un personaggio a tutti gli effetti, dotato di ritmi non umani, di leggi che possono essere comprese o rigettate. Se Bruno, vissuto da sempre nella sua valle, non oserebbe mai lasciarsi alle spalle il suo passato e i suoi luoghi, Pietro è alla ricerca di “altre montagne”, non da scalare come un impavido alpinista, bensì da abitare: la montagna allora non coincide più con l’idea del limite da superare, ma si fa personaggio non umano in rapporto diretto con i personaggi umani.

La stessa riflessione sull’agentività dell’ambiente montano viene operata anche dal regista Ang Lee, che nel 2005 realizza I segreti di Brokeback Mountain, lungometraggio vincitore di tre premi Oscar con protagonisti Heath Ledger e Jake Gyllenhaal che narra la drammatica passione amorosa tra due cowboy nelle zone montuose del Wyoming. La montagna qui funge sia da teatro per le vicende che coinvolgono i due protagonisti, sia da agente che provoca l’esplosione del sentimento fra Ennis e Jack, le cui convinzioni circa la loro sessualità si infrangono nell’isolamento e nel silenzio di Brokeback Mountain.

Il disfacimento di principi e credenze è il cuore anche di Forza Maggiore (Ruben Östlund, 2014), film ambientato in un resort di lusso nelle Alpi francesi. A seguito di un pranzo all’aperto, una facoltosa famiglia svedese composta da Tomas, Ebba e dai figli Vera e Harry assiste a una valanga controllata che, tuttavia, si avvicina pericolosamente alla terrazza dell’hotel. In preda al timore di un’imminente tragedia, Tomas fugge in preda al panico, abbandonando la propria famiglia. Quando la valanga si ferma poco prima del resort, lasciando gli ospiti incolumi, Ebba rimane sconvolta dalla reazione del marito, il quale ha preferito mettere in salvo la propria vita senza curarsi affatto delle sorti della famiglia.

Ma la montagna resta un importante promotore per la riscoperta della propria intimità in lungometraggi che seguono i percorsi interiori di protagonisti solitari. Into the Wild – Nelle terre selvagge (Sean Penn, 2007), film che ripercorre il viaggio di Christopher “Alexander Supertramp” McCandless lungo gli Stati Uniti d’America, culmina con l’approdo in Alaska del protagonista, il quale deve sopravvivere da solo al clima rigido della regione. Ed è proprio qui che Chris comprenderà il vero senso della vita e lo scopo ultimo di ogni essere umano, riassumibile nella celeberrima frase “Happiness only real when shared” (“La felicità è autentica solo se condivisa”), ravvedendosi sulla sua estenuante ricerca della solitudine dopo aver abbandonato la sua esistenza borghese e la sua brillante carriera all’orizzonte. Lo stesso percorso interiore viene affrontato anche dalla protagonista di Wild (Jean-Marc Vallée, 2014): a seguito della traumatica fine del suo matrimonio con Paul, Cheryl Strayed intraprende un viaggio in solitaria sui monti occidentali degli Stati Uniti d’America alla ricerca di sé stessa, confrontandosi con la bellezza e i pericoli della “wilderness”.

La riscoperta della propria interiorità scaturita dal confronto tra la limitatezza dell’essere umano e la grandezza silente della montagna non esclude necessariamente la solitudine. Nel film Sette Anni in Tibet (Jean-Jacques Annaud, 1997), il giovane alpinista ed esploratore austriaco Heinrich Harrer, giunto nel paese più isolato e alto al Mondo, non solo si confronta con un ambiente tanto diverso dall’Europa, ma entra in contatto con la comunità tibetana e con i monaci, rapportandosi con credenze religiose che un tempo credeva altamente remote. In questo senso, il film esprime la necessità di non concepire la montagna come ambiente selvaggio e chiuso alla presenza dell’essere umano: così come espresso nel già citato Le otto montagne, tale ambiente è caratterizzato da un proprio ecosistema che occorre essere rispettato, in armonia con tutte le forme di vita che in esso vivono, muoiono e si rigenerano.

[Nella foto in alto, un fotogramma del film “Le otto montagne“]

L’articolo Come il cinema racconta la montagna proviene da FIE Italia – Federazione Italiana Escursionismo.

Dalla FIE: La sicurezza in montagna, un aspetto troppo spesso sottovalutato

Nel contesto dell’attuale crescente interesse per le attività outdoor, la sicurezza in montagna emerge come un tema di fondamentale importanza per tutti coloro che desiderano vivere l’esperienza dell’alta quota in maniera consapevole e responsabile. La montagna, con le sue bellezze naturali e le sfide che pone, non è soltanto un palcoscenico di emozioni e avventure, ma anche un ambiente in cui ogni gesto di preparazione e ogni misura di prevenzione assumono un significato essenziale per evitare incidenti e garantire un’esperienza serena e sicura. È indispensabile che chi si avventura in queste zone impari a conoscere e valutare i rischi, a interpretare le condizioni meteorologiche e a riconoscere le peculiarità del territorio, affinché ogni escursione si trasformi in un’occasione di crescita personale e di rispetto per la natura.

La preparazione rappresenta il primo tassello per assicurare la sicurezza in montagna: prima di intraprendere una salita o una traversata, è necessario dedicare tempo alla pianificazione dell’itinerario, valutando attentamente la difficoltà del percorso e le proprie capacità fisiche e tecniche. Questo processo implica non solo lo studio delle mappe e dei tracciati, ma anche l’analisi delle previsioni meteorologiche, che in ambiente montano possono cambiare in modo repentino. Un’accurata preparazione consente di programmare soste strategiche, individuare punti di riferimento sicuri e pianificare eventuali punti di evacuazione, riducendo così il rischio di trovarsi in situazioni di emergenza. Inoltre, un buon equipaggiamento – che includa abbigliamento tecnico adeguato, scarponi, dispositivi di navigazione come GPS e bussola, nonché attrezzature di sicurezza quali ramponi, piccozza e zaino con kit di primo soccorso – è il complemento imprescindibile per affrontare con serenità le sfide poste dal terreno e dalle condizioni ambientali.

Il rapporto con la montagna richiede una conoscenza approfondita del territorio, che va ben oltre l’idea di semplice passaggio da un punto A a un punto B. Ogni ambiente montano presenta delle peculiarità legate alla sua morfologia, alla presenza di valanghe, a scarpate e pendii ripidi, a zone soggette a frane o a variazioni rapide di temperatura. In questo senso, l’esperienza si affianca allo studio e alla formazione: corsi specifici di alpinismo, escursionismo e sicurezza in montagna rappresentano strumenti preziosi per apprendere tecniche di orientamento, gestione del rischio valanghe, utilizzo corretto degli attrezzi e primo soccorso in ambienti remoti. La formazione, infatti, non solo arricchisce il bagaglio di conoscenze tecniche, ma contribuisce anche a sviluppare un atteggiamento mentale orientato alla prudenza e alla capacità di reagire in situazioni impreviste, dove ogni decisione può fare la differenza.

L’elemento naturale della variabilità climatica in montagna non può essere sottovalutato: il tempo in quota può trasformarsi rapidamente, passando da un bel tempo sereno a condizioni di nebbia fitta, vento impetuoso o improvvise piogge. Questa imprevedibilità impone un approccio dinamico e flessibile, in cui il gruppo di escursionisti deve essere sempre pronto a riconsiderare i propri piani, a interrompere il percorso o a cercare rifugio in caso di deterioramento delle condizioni atmosferiche. La capacità di monitorare continuamente il meteo, utilizzando sia le fonti ufficiali che l’osservazione diretta del cambiamento delle condizioni, è un aspetto cruciale per prevenire situazioni di pericolo. Allo stesso modo, la comunicazione costante tra i membri del gruppo e il mantenimento di un contatto regolare con le autorità locali o i centri di soccorso montano, grazie a dispositivi come radio e telefoni satellitari, rappresentano strumenti indispensabili per gestire eventuali emergenze.

Un ulteriore aspetto che non va trascurato riguarda la valutazione oggettiva delle proprie capacità fisiche e tecniche. L’entusiasmo e la voglia di superare se stessi possono, a volte, spingere anche escursionisti esperti a sottovalutare i rischi o a tentare percorsi al di là delle proprie possibilità. La consapevolezza dei propri limiti e il rispetto delle regole del gruppo sono elementi che contribuiscono in maniera determinante alla sicurezza collettiva. È infatti fondamentale che ogni membro del gruppo si senta parte integrante del processo decisionale, condividendo informazioni e osservazioni che possano aiutare a identificare situazioni potenzialmente pericolose prima che diventino critiche. In questo senso, la collaborazione e la solidarietà rappresentano valori imprescindibili, capaci di trasformare ogni escursione in un’esperienza di apprendimento reciproco e di crescita collettiva.

L’uso delle tecnologie moderne ha rivoluzionato il modo in cui si affronta la sicurezza in montagna. Dispositivi di localizzazione personale, applicazioni di monitoraggio e sistemi di allarme per valanghe hanno reso possibile una gestione più tempestiva ed efficiente delle emergenze. Questi strumenti, integrati in un’attenta pianificazione pre-partenza, permettono di avere una visione costante della posizione del gruppo e di intervenire rapidamente in caso di necessità. Tuttavia, la tecnologia non deve mai sostituire il giudizio umano: essa è un valido supporto, ma la capacità di leggere il territorio, di interpretare i segnali della natura e di reagire con prontezza alle situazioni impreviste rimane un’abilità insostituibile che si affina con l’esperienza e la formazione continua.

L’aspetto psicologico gioca anch’esso un ruolo fondamentale nella sicurezza in montagna. Affrontare un ambiente così complesso e mutevole richiede una notevole resilienza mentale, la capacità di mantenere la calma anche in situazioni di stress elevato e una buona dose di fiducia nelle proprie competenze e in quelle dei propri compagni di viaggio. Il lavoro di squadra, il supporto reciproco e la capacità di comunicare in maniera chiara e decisa sono tutti elementi che contribuiscono a gestire l’ansia e a prendere decisioni ponderate, soprattutto quando il tempo stringe e le condizioni peggiorano. In questo contesto, l’esperienza individuale si fonde con il senso di responsabilità collettiva, rendendo ogni escursione un’occasione per rafforzare legami e costruire una rete di sostegno che va ben oltre il semplice percorso montano.

Un ulteriore punto di rilievo riguarda l’importanza di una corretta gestione delle emergenze. Nonostante tutte le precauzioni possano ridurre significativamente i rischi, è fondamentale essere preparati a fronteggiare situazioni impreviste. La conoscenza delle tecniche di primo soccorso, la presenza di un kit medico adeguato e la capacità di attivare tempestivamente i servizi di soccorso sono aspetti che vanno integrati nella preparazione pre-partenza. Anche la simulazione di scenari di emergenza, realizzata attraverso esercitazioni pratiche e la condivisione di esperienze con operatori specializzati, può contribuire a creare un ambiente di maggiore sicurezza, dove ogni membro del gruppo sa esattamente come comportarsi in caso di necessità.

La sicurezza in montagna non riguarda solo la prevenzione degli incidenti, ma si configura come una vera e propria filosofia di vita, che abbraccia il rispetto per la natura, l’impegno verso la comunità e la consapevolezza dei rischi insiti in ogni avventura. Questo approccio integrato, che unisce conoscenze tecniche, preparazione fisica e mentale, e l’uso sapiente delle tecnologie, permette di trasformare ogni escursione in un’esperienza arricchente, in cui la sfida rappresenta un’opportunità per imparare, crescere e, soprattutto, vivere la montagna con il giusto equilibrio tra entusiasmo e prudenza. La consapevolezza dei pericoli e la capacità di anticiparli, insieme all’esperienza e alla formazione continua, costituiscono il binomio vincente per garantire non solo la propria incolumità, ma anche quella dei compagni e degli altri escursionisti.

In definitiva, la sicurezza in montagna si fonda su un impegno costante, che parte dalla preparazione individuale e si estende a quella collettiva, passando per la conoscenza del territorio, l’uso responsabile delle tecnologie e l’adozione di comportamenti che rispettino i limiti imposti dalla natura. È un percorso che richiede dedizione, umiltà e una profonda consapevolezza del fatto che ogni escursione, per quanto affascinante e gratificante, porta con sé una serie di responsabilità che non possono essere trascurate. Solo attraverso un approccio integrato, in cui la tecnica e l’esperienza si fondono con l’attenzione ai dettagli e il rispetto per la natura, è possibile affrontare le sfide della montagna in modo sereno e consapevole, trasformando ogni avventura in un’occasione di scoperta e crescita personale. La montagna, con i suoi paesaggi mozzafiato e le sue insidie nascoste, insegna che la vera conquista non è quella della vetta, ma quella della capacità di affrontare se stessi e i propri limiti, in un continuo dialogo con un ambiente che, pur offrendo emozioni uniche, non perdona la disattenzione e l’imperizia.

Il percorso verso un’esperienza montana sicura è costellato di piccoli gesti e attenzioni quotidiane, che insieme costituiscono una solida base per vivere in armonia con un ambiente tanto affascinante quanto esigente. Ogni passo, ogni decisione e ogni gesto di preparazione si sommano a un quadro complesso in cui la sicurezza diventa il risultato di un impegno condiviso, un patto implicito tra l’uomo e la natura. È in questo spirito che la sicurezza in montagna si configura non solo come una necessità pratica, ma come un valore etico e culturale, capace di ispirare comportamenti responsabili e di diffondere una cultura del rispetto che va ben oltre il confine del sentiero. La montagna ci invita a confrontarci con noi stessi, a riconoscere i nostri limiti e a scoprire la forza interiore necessaria per superarli, sempre con la consapevolezza che ogni escursione è un viaggio unico, dove la preparazione e la prudenza si trasformano nei migliori alleati per vivere un’avventura che sia al tempo stesso appagante e sicura.

Scelte ponderate, conoscenza approfondita del territorio, formazione costante e l’uso sapiente delle tecnologie si rivelano, dunque, gli ingredienti essenziali per affrontare le sfide che la montagna pone quotidianamente. La sicurezza in montagna non è un traguardo statico, ma un percorso in continua evoluzione, in cui l’esperienza e il confronto con la natura contribuiscono a migliorare costantemente le proprie capacità e la propria preparazione. È una sfida che richiede rispetto, attenzione e, soprattutto, la capacità di ascoltare i segnali che l’ambiente ci offre, riconoscendo che ogni piccola incertezza può trasformarsi in un potenziale rischio se non viene affrontata con la dovuta serietà e consapevolezza. In questo modo, l’esperienza in montagna diventa non solo una fonte di emozioni e avventure, ma anche un laboratorio in cui imparare a conoscere se stessi e a vivere in sinergia con un ambiente che, pur offrendo innumerevoli doni, esige il massimo della nostra attenzione e preparazione.

Per concludere, l’adozione di un approccio responsabile e ben strutturato alla sicurezza in montagna è il fondamento per garantire esperienze positive e senza intoppi, trasformando ogni uscita in un’occasione per mettere in pratica le proprie competenze, rafforzare il senso di appartenenza al gruppo e sviluppare una cultura del rispetto e della consapevolezza ambientale. La montagna, con la sua grandiosità e la sua imprevedibilità, ci insegna che la vera sicurezza nasce dalla capacità di anticipare e gestire i rischi, combinando la preparazione tecnica con una mentalità orientata alla prudenza e alla cooperazione. È un invito a vivere la natura in modo autentico, dove ogni avventura diventa una lezione preziosa e ogni difficoltà un’opportunità per migliorarsi, garantendo così che l’esperienza in alta quota sia sempre sinonimo di crescita personale, rispetto per l’ambiente e, soprattutto, sicurezza per tutti.

L’articolo La sicurezza in montagna, un aspetto troppo spesso sottovalutato proviene da FIE Italia – Federazione Italiana Escursionismo.

Dalla FIE: Come preparare lo zaino in 10 mosse: trucchi per una perfetta organizzazione

Preparare lo zaino per un’escursione non è semplicemente una questione di riempirlo con tutto ciò che si pensa possa servire, ma rappresenta un vero e proprio rituale di preparazione che unisce esperienza, attenzione ai dettagli e un pizzico di creatività organizzativa. Immaginate di trovarvi all’alba, con il profumo dell’aria fresca di montagna che si mescola alla quiete del paesaggio, pronti ad affrontare un percorso che richiede non solo la forza fisica ma anche una perfetta organizzazione. La preparazione dello zaino in dieci mosse è una guida pratica che vi accompagnerà passo dopo passo, illustrando come, con una serie di accorgimenti e piccoli trucchi, sia possibile ottenere un assetto funzionale e ben bilanciato, capace di resistere alle sfide del percorso e, al contempo, garantire un elevato livello di comfort durante l’intera escursione.

Iniziate la vostra preparazione selezionando lo zaino più adatto alle esigenze del percorso e alla durata dell’escursione. Questa scelta è fondamentale: uno zaino non deve essere troppo capiente da indurre a portare peso inutile, ma allo stesso tempo deve essere sufficientemente spazioso per contenere tutto l’equipaggiamento indispensabile. La capienza si abbina alla qualità dei materiali, alla resistenza degli spallacci e alla presenza di sistemi di ventilazione che garantiscono il massimo comfort anche in condizioni di sudorazione intensa. Prendetevi il tempo necessario per valutare le opzioni presenti sul mercato, scegliendo modelli che offrano una buona distribuzione del carico e che permettano una regolazione precisa in base alle caratteristiche fisiche di chi lo indossa.

La seconda mossa consiste nel pianificare con cura la lista degli oggetti indispensabili. Non si tratta di un semplice elenco, ma di una verifica attenta e ragionata delle necessità, suddividendo gli oggetti in categorie: abbigliamento tecnico, strumenti di navigazione, alimentazione, kit di pronto soccorso, dispositivi tecnologici e accessori di vario genere. La scelta degli articoli deve basarsi sulla durata e sul tipo di escursione; per una giornata, l’elenco sarà più snello rispetto a un trekking di più giorni, dove è necessario includere anche elementi per il campeggio e la cucina da campo. È importante non lasciarsi trasportare dalla tentazione di portare oggetti “per sicurezza”, mantenendo un occhio critico sull’effettiva utilità di ogni singolo elemento.

Successivamente, si passa alla fase della distribuzione del peso, una delle fasi più delicate e spesso sottovalutate. È indispensabile collocare gli oggetti in modo da mantenere il baricentro dello zaino il più vicino possibile alla schiena, distribuendo il peso in maniera equilibrata. Gli oggetti più pesanti devono essere posizionati nella parte centrale e bassa dello zaino, mentre quelli più leggeri e facilmente accessibili possono essere collocati nelle tasche esterne o in scomparti secondari. Questa distribuzione non solo favorisce un miglior equilibrio, ma contribuisce anche a ridurre l’affaticamento durante il cammino, permettendo una maggiore libertà di movimento e una minore sollecitazione della colonna vertebrale.

Una volta definito l’assetto generale, è il momento di imballare i singoli oggetti in maniera razionale. La scelta dei contenitori interni, come sacchetti o organizer specifici, permette di mantenere ordine e di facilitare il reperimento rapido degli oggetti. Utilizzate dei compartimenti trasparenti o con etichette ben visibili, così da sapere immediatamente dove si trova l’oggetto necessario, evitando di rovesciare il contenuto dello zaino alla ricerca di qualcosa di specifico. Inoltre, la separazione degli oggetti in base alla frequenza di utilizzo rappresenta un ulteriore stratagemma: articoli come la borraccia, il coltellino multiuso o la mappa, che potrebbero servire in ogni momento, devono essere collocati in posizioni facilmente raggiungibili, mentre attrezzature meno utilizzate possono essere riposte nelle zone interne più inaccessibili.

Un altro aspetto cruciale riguarda l’organizzazione degli spazi dedicati agli abbigliamenti e agli accessori. Gli indumenti vanno disposti in modo da ridurre al minimo il rischio di ammassamenti o di schiacciamenti che possano compromettere la loro funzionalità, soprattutto quando si parla di capi tecnici o di tessuti specifici per la traspirazione. È consigliabile separare gli strati termici da quelli esterni, riponendo per esempio la giacca antivento in uno scomparto diverso da quello contenente le magliette o gli intimi. L’utilizzo di sacchetti di plastica o di tessuti impermeabili per proteggere determinati oggetti da eventuali infiltrazioni di umidità è un’altra strategia vincente, in particolare quando il meteo è incerto o si prevede di attraversare zone ad alto rischio di pioggia.

La quinta mossa riguarda la verifica e il controllo degli accessori essenziali per la sicurezza e la comunicazione. Tra questi rientrano dispositivi come torce frontali, radio da escursionismo, kit di pronto soccorso, e ovviamente strumenti di navigazione quali bussola, mappe cartacee e, eventualmente, un GPS portatile. Ogni accessorio deve essere accuratamente testato prima dell’uscita: controllate le batterie, verificate il funzionamento delle cinghie e degli allacci, e assicuratevi che ogni componente risponda alle specifiche tecniche indicate dal produttore. Questo tipo di controllo preventivo consente di evitare spiacevoli inconvenienti durante il percorso, soprattutto in situazioni dove la sicurezza personale e quella del gruppo è in gioco.

Procedendo con il sesto step, rivolgete attenzione alla preparazione dell’equipaggiamento per il campeggio, se previsto nel vostro itinerario. In questa fase, lo zaino deve ospitare non solo gli oggetti di uso quotidiano durante la camminata, ma anche quegli articoli che saranno fondamentali per garantire il comfort durante la notte. Pensate a tende ultraleggere, sacchi a pelo adeguati alle temperature previste, materassini isolanti e utensili da cucina compatibili con il trasporto in montagna. La scelta accurata di questi elementi deve considerare il compromesso tra funzionalità, peso e spazio disponibile, mantenendo sempre un occhio di riguardo alla qualità dei materiali, che dovranno resistere alle sollecitazioni dell’uso in ambienti estremi.

Il settimo passaggio è quello che riguarda la gestione dei piccoli oggetti e degli accessori di uso quotidiano. Spesso dimenticati, questi elementi possono includere tutto ciò che va dal caricabatterie portatile al kit di igiene personale, dalla crema solare al repellente per insetti. Anche in questo caso, la suddivisione in sacchetti dedicati o in tasche apposite dello zaino vi aiuterà a mantenere tutto in ordine, evitando di disperdere energie alla ricerca di un oggetto all’ultimo momento. L’organizzazione di questi “piccoli grandi” accessori è tanto importante quanto quella degli oggetti più ingombranti e richiede una pianificazione attenta per garantire che ogni cosa sia al proprio posto e facilmente reperibile.

Nell’ottava fase, è essenziale dedicare del tempo alla prova finale del carico. Dopo aver sistemato ogni oggetto nello zaino, indossatelo e valutate la distribuzione del peso, il comfort generale e la stabilità durante il movimento. Questa fase di prova è cruciale perché permette di identificare eventuali squilibri o disallineamenti che, se non corretti, potrebbero causare fastidi o infortuni durante l’escursione. Camminate di prova in ambienti controllati, magari in un parco o lungo un sentiero pianeggiante, sono l’ideale per testare il montaggio dello zaino e apportare le modifiche necessarie, come ad esempio regolare la lunghezza delle cinghie o spostare alcuni oggetti per migliorare l’equilibrio.

Il nono passaggio prevede l’adozione di una mentalità flessibile e la possibilità di apportare modifiche all’ultimo minuto. Anche se la preparazione è stata eseguita con cura, il meteo o le condizioni del percorso possono subire variazioni improvvise. Essere preparati a riorganizzare il contenuto dello zaino in base alle esigenze del momento è una competenza preziosa per ogni escursionista. Questo significa che, prima di partire, è consigliabile rivedere rapidamente la lista degli oggetti e verificare se qualche elemento non sia stato dimenticato o se sia necessario riposizionarlo in modo da poter rispondere in maniera efficiente a eventuali emergenze o cambiamenti improvvisi.

Infine, la decima mossa consiste nel fare una riflessione finale sull’esperienza e aggiornare il proprio sistema di organizzazione per le uscite future. Dopo ogni escursione, prendetevi il tempo per analizzare cosa ha funzionato bene e cosa potrebbe essere migliorato. Il confronto con altri escursionisti e il confronto con le vostre esperienze personali vi permetteranno di affinare ulteriormente il vostro metodo di preparazione, trasformando ogni uscita in un’opportunità di apprendimento e miglioramento. Questo approccio, basato su una continua sperimentazione e sulla volontà di ottimizzare ogni dettaglio, non solo migliora la qualità delle vostre escursioni, ma consolida anche una mentalità organizzativa che può fare la differenza in situazioni impreviste.

Nel complesso, preparare lo zaino seguendo questi dieci passaggi rappresenta un investimento in termini di tempo e attenzione, ma i benefici si ripercuotono lungo tutto il percorso. Una corretta organizzazione permette di camminare con la certezza di aver fatto tutto il possibile per affrontare il percorso in sicurezza e con il massimo comfort, riducendo al minimo il rischio di imprevisti e garantendo una gestione ottimale delle energie. Ogni dettaglio, dalla scelta dello zaino all’ultima regolazione delle cinghie, contribuisce a creare una sinergia tra uomo e natura, trasformando l’atto del prepararsi in una vera e propria forma d’arte che unisce passione, disciplina e amore per l’outdoor.

In questo contesto, il processo di preparazione diventa molto più di una mera operazione logistica: è un momento di riflessione e di connessione con la propria esperienza personale, un’occasione per ascoltare il proprio corpo e le proprie necessità, e per mettersi in condizione di vivere ogni escursione al meglio delle proprie possibilità. La cura nel selezionare e sistemare ogni oggetto, la precisione nel bilanciare il carico e l’attenzione nel verificare ogni dettaglio, sono tutti elementi che si traducono in un’esperienza più serena e gratificante lungo il sentiero. Anche se a volte può sembrare un’attività laboriosa, questa preparazione accurata è il segreto per poter godere appieno di ogni singolo momento trascorso immersi nella natura, senza dover interrompere il percorso per cercare soluzioni improvvisate o dover fare i conti con disagi che potevano essere evitati.

Adottare questa metodologia organizzativa, basata su passaggi chiari e sistematici, è un atto di responsabilità verso se stessi e verso gli altri membri del gruppo. La cura con cui si prepara lo zaino si riflette poi nell’andamento dell’intera escursione, rendendo ogni passo più sicuro e ogni tappa più piacevole. In definitiva, preparare lo zaino in dieci mosse non è soltanto una guida pratica, ma un vero e proprio manifesto di come l’attenzione ai dettagli possa fare la differenza in ogni avventura all’aria aperta, elevando l’esperienza escursionistica a livelli di eccellenza e rendendola un’occasione di crescita personale e di connessione con la natura.

Ogni appassionato sa che la montagna premia chi si prepara con dedizione e metodo, e seguire questi dieci accorgimenti vi permetterà di affrontare ogni percorso con la certezza di avere messo in campo una strategia ottimale. Così, mentre vi avventurate su sentieri che si snodano tra paesaggi mozzafiato, potrete godere appieno della bellezza della natura, consapevoli che ogni oggetto nel vostro zaino è al suo posto, pronto a supportarvi in ogni momento della vostra avventura. La preparazione diventa allora un rituale che, sebbene apparentemente semplice, è il fondamento su cui si costruiscono le esperienze più indimenticabili, trasformando ogni cammino in un percorso di eccellenza e serenità.

L’articolo Come preparare lo zaino in 10 mosse: trucchi per una perfetta organizzazione proviene da FIE Italia – Federazione Italiana Escursionismo.

Dalla FIE: Escursionismo stoico (Stoicismo)

Introduzione: La montagna come metafora dell’esistenza

Zenone di Cizio (foto di Paolo Monti, Servizio fotografico, Napoli 1969) – Fonte Wikipedia

Nel vasto panorama delle filosofie antiche, lo Stoicismo rappresenta un faro di razionalità, resilienza e virtù. Fondata nel III secolo a.C. da Zenone di Cizio, e poi sviluppata da filosofi come Cleante, Crisippo, Seneca, Epitteto e Marco Aurelio, questa corrente filosofa invita l’essere umano a coltivare l’autocontrollo, l’accettazione serena del destino e la virtù come obiettivo essenziale della vita. In un mondo soggetto al mutare costante degli eventi, lo stoico impara a distinguere tra ciò che può controllare (le sue convinzioni, i suoi desideri, le sue scelte) e ciò che invece sfugge al suo potere (il corso della natura, le vicissitudini esterne).

L’”escursionismo stoico” è una metafora di questo atteggiamento, declinata nell’esperienza concreta del camminare tra montagne, boschi e sentieri. Se l’escursionismo può diventare un viaggio interiore, allora lo stoicismo fornisce la mappa morale per orientarsi nelle difficoltà, nel freddo, nella fatica, nell’incertezza del percorso. L’escursionista stoico, più che cercare la comodità o il puro piacere, si misura con il cammino come occasione per plasmare il proprio carattere, addestrare la propria pazienza e temprarsi di fronte agli imprevisti.

Le radici filosofiche: virtù e controllo interiore

Lo Stoicismo spiegato mediante la metafora dell’uovo

I principi chiave dello Stoicismo sono facilmente riconducibili all’esperienza dell’escursionista. Il primo e più importante è la distinzione tra ciò che dipende da noi e ciò che non dipende da noi. Per lo stoico, la felicità non consiste nell’eliminare le difficoltà, ma nel saperle affrontare con serenità. Allo stesso modo, l’escursionista incontra sul sentiero fattori che non può controllare: il meteo, la conformazione del terreno, la presenza di ostacoli naturali, l’eventuale compagnia di altri escursionisti. Ciò su cui può agire è invece il proprio atteggiamento, l’equipaggiamento con cui si prepara, la resistenza fisica e mentale, la motivazione interiore, la scelta di seguire un certo percorso o di modularlo in base alle proprie forze.

La virtù, per gli stoici, non è un ornamento morale, ma la guida fondamentale dell’esistenza. Essere virtuosi significa vivere secondo ragione, in armonia con la natura, accettando il destino senza lamentarsi e senza rinunciare ad agire al meglio delle proprie possibilità. L’escursionismo diventa così una palestra di virtù: affrontare un pendio ripido senza scoraggiarsi, accettare una pioggia improvvisa come parte integrante dell’esperienza, gestire la fatica con lucidità, senza lasciarsi sopraffare dalle emozioni negative. Questa disciplina non è crudele né punitiva: è un esercizio di libertà interiore, il tentativo di diventare padroni di se stessi.

L’equipaggiamento stoico: essenzialità e misura

Se l’approccio epicureo all’escursionismo potrebbe invitare al comfort (un buon cibo nello zaino, un percorso non troppo impegnativo, abbigliamento comodo), quello stoico punta alla sobrietà e all’essenzialità. Ciò non significa essere imprudenti: lo stoicismo non incita all’incuria. L’escursionista stoico si prepara con cura, ma senza eccedere in accessori superflui. Uno zaino leggero, ben organizzato, con il necessario per affrontare cambiamenti climatici e piccoli imprevisti, rappresenta metaforicamente l’atteggiamento giusto: essere pronti ma non schiavi del comfort, avere con sé ciò che serve ma non accumulare zavorre inutili.

Questa scelta minimalista riflette la convinzione stoica che la vera forza non risiede nel possesso di strumenti esterni, ma nella solidità del carattere. L’attrezzatura deve essere un supporto, non un ostacolo: scarponi robusti ma senza pretese, una borraccia d’acqua, una giacca impermeabile, una carta topografica. Non è necessario l’ultimo grido della tecnologia per dimostrare la propria capacità di affrontare la natura. La fiducia in se stessi e la preparazione mentale valgono più di un GPS ultramoderno.

Il sentiero come prova di resilienza

Uno dei temi centrali dello Stoicismo è l’accettazione dell’inevitabile. Le difficoltà non vanno temute o fuggite, bensì riconosciute come parti integranti della vita. Analogamente, sul sentiero l’escursionista incontra salite faticose, terreni sdrucciolevoli, cambiamenti di quota che affaticano le gambe e il respiro. Incontrare un ostacolo non è mai un fallimento, è piuttosto un’opportunità per esercitare la virtù della pazienza e della perseveranza.

La salita ripida diventa il banco di prova della propria volontà: ogni passo faticoso insegna a non cedere allo sconforto, a non lamentarsi inutilmente. Lo sforzo fisico è una dimensione in cui il corpo dialoga con la mente e la mente con la natura: stringere i denti, controllare il respiro, mantenere un ritmo costante, rappresentano simbolicamente il dominio delle passioni e degli impulsi irrazionali. L’escursionista stoico non si crogiola nel dolore, ma lo accetta come parte del percorso, trasformandolo in occasione di forza morale.

La gestione delle emozioni: nessun lamento, nessuna esaltazione

Busto di Lucio Anneo Seneca a Cordoba

Il fulcro dell’etica stoica è l’imperturbabilità (ataraxia). Ciò non significa insensibilità o freddezza, ma capacità di non essere travolti dalle passioni negative. In montagna, questo si traduce nell’evitare sia il vittimismo di fronte alle sventure, sia l’euforia incontrollata davanti al successo. Se il tempo volge al peggio, lo stoico non impreca contro la sfortuna, ma adatta il suo piano, accettando ciò che non può modificare. Se raggiunge una vetta, non si lascia trasportare da un orgoglio smisurato, ma riconosce che il successo è stato possibile grazie all’allenamento, alla costanza, alla buona sorte e alla natura stessa.

Questa sobrietà emotiva non toglie la gioia dell’esperienza, anzi la rende più autentica. Lo stoico sa che la natura non è al suo servizio, non è lì per compiacerlo. La pioggia non è una “cattiveria” del cielo, il masso franoso non è un “torto” contro di lui. Sono eventi del tutto naturali. Allo stesso modo, la vista panoramica non è un dono personale, ma una realtà di cui gode l’escursionista attento. Niente è “mio” o “tutto per me”, ma tutto è parte del cosmo, di cui l’uomo è solo un frammento consapevole.

Il rapporto con la natura: vivere secondo ragione

Lo Stoicismo insegna a vivere secondo natura, e la natura, per loro, era intesa come l’ordine razionale del cosmo. Anche se non tutti ne condividono oggi la visione cosmologica, l’idea di fondo resta suggestiva: non siamo estranei all’ambiente, ne siamo parte. L’escursionista stoico riconosce la montagna, il bosco, il torrente, come elementi di un insieme più vasto e ordinato. L’uomo non è un conquistatore del paesaggio, ma un suo ospite passeggero.

Questa consapevolezza si traduce in rispetto: non lasciare rifiuti, non danneggiare la vegetazione, non spaventare la fauna. Evitare di disturbare l’equilibrio dell’ecosistema significa essere coerenti con l’ideale stoico di virtù e moderazione. Al contempo, c’è un profondo realismo nell’accettare che la natura segue le proprie leggi, indipendenti dal volere umano. Il camminatore stoico non si lamenta del fango o della roccia scivolosa: accetta queste condizioni come facenti parte dell’ordine delle cose. Da ogni situazione può trarre una lezione: attenzione, prudenza, cautela, pazienza.

Un allenamento per la vita quotidiana

Un ulteriore punto di forza dell’escursionismo stoico è la sua valenza pedagogica. Chi vive l’esperienza del cammino come esercizio delle virtù, impara a trasferire queste attitudini nella vita quotidiana. Affrontare le difficoltà sul sentiero senza scoraggiarsi diventa un paradigma per affrontare quelle professionali, famigliari e sociali. Saper mantenere l’equilibrio emotivo di fronte a un imprevisto meteorologico aiuta a reagire con calma ai cambiamenti improvvisi che la vita ci riserva. Riconoscere i propri limiti fisici e imparare a superarli con pazienza rafforza la capacità di auto-disciplina, utile in ogni contesto.

Così, la montagna non è solo un luogo geografico, ma un simbolo dell’esistenza. Ogni salita può rappresentare un ostacolo della vita, ogni paesaggio maestoso uno sguardo sull’ordine più ampio in cui siamo inseriti, ogni sosta un momento di riflessione su ciò che è essenziale. L’escursionismo stoico diventa quindi un metodo di educazione permanente, un training morale che, lontano dall’aula e dai libri, si svolge direttamente nel grande laboratorio della natura.

Il silenzio e la solitudine: lo spazio interiore

Una delle esperienze più tipiche dell’escursionismo è il contatto con il silenzio e la solitudine. Per lo stoico, l’introspezione è uno strumento fondamentale di crescita: nell’ascolto di se stessi, lontani dal rumore della vita urbana, è più facile individuare le proprie reazioni emotive e imparare a dominarle. Seneca consigliava di praticare periodicamente la rinuncia al superfluo, per non dipendere dalle comodità. Camminare a lungo, magari sotto la pioggia o con uno zaino non proprio leggero, serve a sperimentare in modo diretto cosa significa far fronte a situazioni scomode, scoprendo di poterle affrontare senza drammi.

La solitudine del sentiero non è mancanza, ma opportunità: senza distrazioni, l’escursionista sta con se stesso, si osserva, si mette alla prova. Quando il percorso diventa metafora, ogni passo conduce a una maggiore consapevolezza interiore. Nessun pubblico a cui dimostrare qualcosa, nessun applauso, nessun giudizio se non il proprio. È il contesto ideale per esercitare la virtù della sincerità con se stessi, una condizione indispensabile per qualsiasi crescita morale.

La meta come pretesto

Per lo stoico non conta tanto il traguardo quanto il modo di affrontare il percorso. Arrivare in vetta è una soddisfazione, certo, ma non deve essere l’unico obiettivo. Se la natura o le proprie forze impediscono di raggiungere la cima, lo stoico non si dispera: accetta il limite, torna indietro con dignità, consapevole di aver comunque tratto valore dall’esperienza. La meta è un riferimento, non un assoluto. Ciò che conta è aver camminato con rettitudine, avere mantenuto controllo su se stessi, avere affrontato le difficoltà senza compromettere i propri principi.

In un’epoca che celebra la performance, il risultato, la scalata (anche sociale), l’escursionismo stoico ci ricorda che l’importante è come ci comportiamo, non quanti metri superiamo. Il sentiero non è una gara, ma un esercizio di carattere. Anche l’eventuale rinuncia, se compiuta con saggezza, diventa una vittoria interiore: la capacità di accettare i limiti imposti dalla natura o dal proprio corpo, senza lamento né rimpianto.

Conclusioni: una via per la serenità e la forza

L’escursionismo stoico non è un movimento codificato o una pratica ufficiale: è una metafora ricca di spunti. Applicare i principi dello Stoicismo alla camminata in montagna significa praticare una filosofia antica in un contesto contemporaneo, trovando nuovi modi di dare spessore morale a un’attività ricreativa. In un’epoca in cui l’esperienza outdoor è spesso presentata come sfida estrema, come turismo esperienziale o come pura evasione, la prospettiva stoica invita a darle un valore etico e formativo.

Camminare con spirito stoico non significa privarsi del piacere di una bella giornata all’aria aperta, ma rendere quell’esperienza più profonda. Dietro ogni passo c’è la forza di un pensiero millenario: nulla di ciò che accade deve turbare la nostra pace interiore, nessuna difficoltà ci rende schiavi del lamento, nessun traguardo è indispensabile per dare senso alla vita. La natura offre lo scenario, la filosofia lo strumento, e l’uomo stoico unisce i due elementi per forgiare una serenità lucida, una forza calma, una maturità interiore capace di affrontare ogni sentiero, dentro e fuori di sé.

[Nella foto in alto: i resti della Stoà Pecile ad Atene]

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Dalla FIE: Campionati Italiani di Sci FIE 2025: tutte le classifiche

Si è conclusa l’edizione numero 61 dei Campionati Italiani di Sci 2025 in casa FIE, come sempre coronata da un’ampia partecipazione di atleti e accompagnatori, alla quale è stato affiancato un interessante programma di escursioni sulla neve per i non sciatori. Una vera e propria “Festa della Neve”, così come negli auspici degli organizzatori.

Come sempre, quindi procediamo con la pubblicazione delle classifiche, partendo da quella per associazioni per passare a quelle individuali bambini e adulti.

Classifica per Associazione
Ski Cross Bambini
Combinata Adulti
Slalom Gigante Adulti
Galleria fotografica

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Dalla FIE: Camminare in compagnia: l’importanza del gruppo per il benessere psicofisico

Camminare in compagnia è un’esperienza che, per molti versi, trascende la semplice attività fisica e si configura come un’occasione di crescita personale e collettiva. L’idea di condividere il passo con altre persone, siano esse amici, familiari o semplici appassionati che si incontrano lungo il percorso, può trasformare un semplice esercizio aerobico in un vero e proprio viaggio di benessere psicofisico. Da una parte, l’aspetto sociale e relazionale del camminare in gruppo crea un contesto di sostegno e motivazione reciproca; dall’altra, i benefici per il corpo si amplificano grazie alla costanza e all’impegno che derivano dal senso di appartenenza a un gruppo. Questa sinergia tra sfera fisica e dimensione sociale rappresenta uno dei motivi per cui, in molti paesi, il trekking e le passeggiate condivise sono diventati vere e proprie pratiche di promozione della salute, adottate tanto dai singoli quanto dalle associazioni e dalle istituzioni sanitarie.

Camminare è una delle forme di movimento più naturali e accessibili: non richiede attrezzature costose, può essere adattato a differenti livelli di allenamento e si può praticare quasi ovunque. Tuttavia, camminare da soli richiede una motivazione costante che, talvolta, può venire a mancare a causa di impegni personali, stanchezza, o semplice noia. In compagnia, invece, subentra un meccanismo di incoraggiamento reciproco che sprona a mantenere l’impegno e la regolarità. Sapere di avere un appuntamento con altri camminatori, condividere l’entusiasmo per un nuovo itinerario o la curiosità di esplorare un ambiente diverso, sono tutti elementi che aiutano a non desistere di fronte a pigrizia o sfiducia. Questa “spinta sociale” è particolarmente utile per chi si avvicina al camminare dopo un periodo di sedentarietà o di scarsa attività fisica, poiché il gruppo può fungere da supporto e da guida, indicando ritmi adatti e offrendo consigli su abbigliamento, alimentazione e piccoli accorgimenti tecnici.

Oltre alla dimensione motivazionale, esiste un aspetto squisitamente psicologico che si manifesta quando si condivide l’esperienza del cammino. Camminare fianco a fianco con altre persone stimola il dialogo e l’apertura emotiva, consentendo di approfondire la conoscenza reciproca o, più semplicemente, di trascorrere del tempo in compagnia senza le distrazioni tipiche della vita moderna. In un mondo in cui la comunicazione è sempre più mediata dalla tecnologia, riscoprire la dimensione reale dell’incontro e del confronto può avere effetti profondamente positivi sull’umore e sulla percezione di sé. Parlare mentre si cammina aiuta inoltre a gestire meglio la fatica: l’attenzione si sposta dalle sensazioni di sforzo fisico alla conversazione, rendendo l’attività più piacevole e sostenibile anche su distanze più lunghe.

Dal punto di vista fisiologico, il camminare regolare contribuisce a migliorare la circolazione sanguigna, a rafforzare il sistema cardiovascolare e a regolare la pressione arteriosa. A livello muscolo-scheletrico, l’esercizio costante favorisce il mantenimento di una buona postura e la prevenzione di problematiche legate alla sedentarietà, come il mal di schiena e l’irrigidimento articolare. Se a questi vantaggi si aggiunge la componente del gruppo, si osserva un’ulteriore ricaduta positiva: il confronto con altri camminatori, infatti, permette di acquisire maggior consapevolezza delle proprie capacità e di calibrare l’allenamento in modo graduale. Il camminatore principiante potrà apprendere dai più esperti strategie utili per prevenire gli infortuni e migliorare la tecnica di passo, mentre chi ha già un buon livello di allenamento avrà modo di sperimentare nuovi percorsi e di porsi obiettivi più sfidanti. Questo circolo virtuoso di apprendimento e crescita collettiva contribuisce a creare un clima di collaborazione e rispetto, in cui ognuno porta la propria esperienza e la mette al servizio del gruppo.

In termini di benessere psicologico, il contatto con la natura o con luoghi piacevoli per la vista e l’olfatto (come parchi, sentieri collinari, percorsi lungo corsi d’acqua) aggiunge ulteriore valore all’esperienza. Numerosi studi hanno dimostrato che l’immersione in ambienti naturali è in grado di ridurre i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, e di favorire il rilassamento mentale. Quando si cammina in compagnia, questi effetti vengono amplificati dalla sensazione di appartenenza e dalla possibilità di condividere le emozioni che il paesaggio suscita. Che si tratti di un’alba su un crinale montuoso o del canto degli uccelli in un bosco, poter esprimere il proprio stupore o la propria meraviglia a un compagno di cammino rende l’esperienza più intensa e contribuisce a creare ricordi condivisi che rafforzano i legami interpersonali.

Per molte persone, il camminare in compagnia diventa un’occasione di socialità che va ben oltre la singola passeggiata. Il gruppo può infatti trasformarsi in un punto di riferimento stabile, in cui ci si scambiano opinioni, suggerimenti di lettura, ricette, esperienze di viaggio. In alcuni casi, soprattutto quando si forma un nucleo affiatato, possono nascere amicizie profonde e durature, alimentate dal fatto di avere un obiettivo comune: prendersi cura di se stessi e degli altri attraverso il movimento e la condivisione. Questa dimensione sociale e comunitaria è particolarmente preziosa per le fasce di popolazione più esposte alla solitudine, come gli anziani o chi vive situazioni di disagio. Camminare in gruppo diventa così un modo per combattere l’isolamento, mantenere vive le relazioni sociali e sentirsi parte di una rete di supporto, in cui ci si aiuta a vicenda e si trova conforto anche di fronte a difficoltà che vanno al di là dell’attività fisica in sé.

Da un punto di vista organizzativo, i gruppi di cammino possono assumere diverse forme. Ci sono i gruppi informali, composti da amici o vicini di casa che decidono di incontrarsi regolarmente in un luogo stabilito, e i gruppi più strutturati, spesso nati su iniziativa di associazioni sportive, enti di promozione della salute o circoli culturali. In quest’ultimo caso, è frequente che ci sia una figura di riferimento, come un accompagnatore o un istruttore di cammino, che si occupa di pianificare gli itinerari, valutare il livello di difficoltà, fornire informazioni sul territorio e assicurarsi che l’esperienza sia sicura e piacevole per tutti. La presenza di un professionista può essere particolarmente utile per chi ha esigenze specifiche, come soggetti con patologie croniche, persone in sovrappeso o con limitazioni motorie. In tali circostanze, un esperto può suggerire varianti del percorso o esercizi di riscaldamento e defaticamento ad hoc, in modo da massimizzare i benefici e ridurre i rischi.

Il benessere psicofisico derivante dal camminare in compagnia si manifesta anche nella capacità di alimentare la motivazione a lungo termine. È noto che mantenere una routine di attività fisica nel corso dei mesi e degli anni richiede costanza e forza di volontà, qualità che non sempre si riesce a coltivare in solitudine. L’appartenenza a un gruppo, invece, offre una forma di sostegno continuo: ogni componente diventa, di fatto, una piccola “sentinella” del benessere altrui, pronta a stimolare chi si sente demotivato o stanco e a celebrare i progressi di chi, passo dopo passo, migliora la propria resistenza e la propria condizione fisica. Questa dinamica è tanto più forte quanto più il gruppo è coeso e condivide obiettivi chiari, come la partecipazione a un evento escursionistico o il completamento di un percorso a tappe. La soddisfazione di raggiungere traguardi comuni consolida il legame tra i partecipanti e rafforza la percezione di autoefficacia, cioè la convinzione di poter affrontare e superare sfide sempre più ambiziose.

Non bisogna dimenticare l’impatto che la dimensione ludica può avere su un’attività come il camminare in compagnia. Insieme ad altri, è possibile sperimentare giochi di gruppo, cacce al tesoro a tema naturalistico, momenti di convivialità come picnic o degustazioni di prodotti tipici del territorio, che rendono l’escursione ancora più piacevole. Questo aspetto ludico, unito al benessere fisico e alla socialità, può svolgere un ruolo importante anche nei confronti dei più giovani: bambini e adolescenti, spesso attratti da attività tecnologiche e sedentarie, possono scoprire il fascino di esplorare un bosco o di risalire un sentiero se lo fanno in un contesto divertente e aggregante, in cui possano sentirsi protagonisti e ricevere l’approvazione dei coetanei e degli adulti di riferimento.

L’importanza del gruppo si rivela altresì cruciale nei momenti di difficoltà o di emergenza. Sebbene il camminare sia generalmente un’attività sicura e priva di rischi elevati, esistono sempre situazioni impreviste, come un infortunio o un improvviso cambio del meteo. In compagnia, la capacità di affrontare gli imprevisti aumenta: si possono unire le forze per aiutare chi è in difficoltà, condividere risorse come cibo e acqua, o semplicemente sostenersi a vicenda moralmente in caso di ansia o preoccupazione. Questa rete di protezione, anche se non si tratta di un gruppo numeroso, infonde sicurezza e tranquillità, consentendo di godere appieno dell’esperienza senza timori eccessivi. Inoltre, la presenza di più persone rende possibile la suddivisione dei compiti: mentre alcuni si occupano di verificare il percorso, altri possono prendersi cura di chi ha bisogno di assistenza, riducendo i tempi di reazione e massimizzando l’efficacia dell’intervento.

La sfera emozionale legata al camminare in compagnia è ulteriormente arricchita dalla possibilità di condividere le proprie sensazioni, di commentare i cambiamenti del paesaggio, di notare dettagli che, da soli, passerebbero inosservati. È un’esperienza che stimola tutti i sensi, dal tatto (appoggiarsi a un tronco, sfiorare l’erba alta) all’udito (cogliere i suoni della natura o il rumore dei propri passi sul terreno), dalla vista (contemplare panorami, giochi di luce e colori) all’olfatto (annusare l’aria fresca, il profumo di fiori o di piante aromatiche). L’insieme di queste percezioni, se condiviso con altri, crea una sorta di tessuto narrativo che arricchisce la memoria dell’escursione e rafforza il legame tra i partecipanti.

In conclusione, camminare in compagnia è un’opportunità straordinaria per prendersi cura del proprio benessere psicofisico, sfruttando la sinergia tra movimento, socialità e contatto con l’ambiente. La motivazione reciproca, il sostegno nei momenti di difficoltà, la possibilità di apprendere e di insegnare, la condivisione di emozioni e di scoperte: tutto ciò rende l’esperienza del cammino un percorso di crescita che va ben oltre il mero esercizio fisico. Non è un caso che sempre più persone, in tutto il mondo, scelgano di unirsi a gruppi di cammino o di organizzare escursioni collettive per migliorare la propria salute, ampliare la propria rete di relazioni e scoprire, passo dopo passo, la bellezza di muoversi in armonia con gli altri e con l’ambiente circostante. Il gruppo diventa così una vera e propria palestra di relazioni umane, un luogo in cui ciascuno può sentirsi accolto, stimato e incoraggiato a dare il meglio di sé, riscoprendo il valore di un’attività antica eppure sempre nuova: il semplice, potente, atto di camminare insieme.

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Dalla FIE: Il Bando Ambiente della Federazione Italiana Escursionismo: un’iniziativa di Recupero e Sostenibilità dei Siti Naturali

Negli ultimi anni, la crescente sensibilità verso la tutela dell’ambiente e la valorizzazione delle risorse naturali ha portato numerose organizzazioni a impegnarsi in progetti di recupero e sviluppo sostenibile. Un esempio concreto di questo impegno è il Bando Ambiente, promosso dalla Federazione Italiana Escursionismo (FIE), già a partire dal 2023, giungendo nel 2025 alla 3° edizione.

Mira al recupero ambientale e allo sviluppo di siti naturali di valore, incentivando il coinvolgimento delle comunità locali, delle istituzioni disponibili a fare rete e delle Associazioni di escursionismo. Questo bando si inserisce nel più ampio quadro delle politiche di sostenibilità ambientale e di valorizzazione del patrimonio naturale italiano, un patrimonio che è spesso sottovalutato o messo a rischio da fenomeni di abbandono e degrado.

1. Obiettivi del Bando Ambiente

Il Bando Ambiente è nato con l’intento di promuovere la tutela e la valorizzazione degli ambienti naturali, sensibilizzando le persone sull’importanza di un approccio ecosostenibile nella gestione del territorio. In particolare, il bando si rivolge alle Associazioni FIE che possibilmente in collaborazione e sinergia con enti e istituzioni locali desiderino realizzare progetti mirati alla bonifica, al recupero e alla riqualificazione di aree verdi ed ecosistemi naturali di rilevanza paesaggistica e ambientale.

L’obiettivo generale del Bando Ambiente è quello di coniugare la cura del paesaggio naturale con la valorizzazione dell’escursionismo come strumento di sviluppo sostenibile.

Obiettivi specifici sono:

  • Bonificare aree ed ecosistemi naturali facendoli ritornare a nuova vita.
  • Recuperare i sentieri escursionistici: ripristino e manutenzione di percorsi storici e naturali, con l’intento di rendere più fruibile il patrimonio escursionistico italiano.
  • Proteggere e valorizzare le aree naturali: interventi di salvaguardia su aree naturali vulnerabili.
  • Realizzare progetti sostenibili ed efficaci non solo nel breve termine, ma capaci di mantenere nel tempo un impatto positivo sull’ambiente e sulle comunità.

2. Le Aree di Intervento del Bando

Il bando copre un ampio spettro di attività e ambiti in cui i progetti possono essere sviluppati. Tra le principali aree di intervento figurano:

  • Recupero di sentieri e percorsi storici: molti sentieri escursionistici italiani sono abbandonati o poco manutenuti. Questi sentieri rappresentano non solo una risorsa per il turismo e la fruizione dell’ambiente, ma anche una testimonianza storica e culturale. I progetti finanziati dal bando si concentrano sul recupero della segnaletica, la pulizia dei tracciati, e il restauro delle infrastrutture esistenti come ponti e rifugi.
  • Riqualificazione delle aree naturali: numerose zone naturali sono state danneggiate da fenomeni di degrado, abbandono o cattiva gestione. Il bando offre finanziamenti per progetti che puntano a ripristinare la biodiversità, ridurre il rischio di incendi, ripristinare la vegetazione originaria e gestire le risorse naturali in maniera più consapevole.
  • Incentivazione dell’ecoturismo: il bando sostiene anche lo sviluppo di attività turistiche eco-sostenibili, che rispettano l’ambiente e le comunità locali. L’ecoturismo è un potente strumento di sensibilizzazione ambientale, ma allo stesso tempo può essere un motore economico per le zone più remote.

3. I Progetti Finanziati: Casi di Successo

Negli ultimi due anni, il Bando Ambiente ha visto la partecipazione di numerosi progetti che hanno avuto un impatto significativo su diverse aree naturali italiane.

Sono stati finanziati nell’edizione 2024 ben 5 dei progetti in concorso e relativi al recupero e valorizzazione di aree in cinque diverse Regioni di Italia: Liguria, Veneto, Toscana, Lazio e Calabria.

4. I Benefici per la Comunità e l’Ambiente

I benefici dei progetti finanziati dal Bando Ambiente sono molteplici. Innanzitutto, questi interventi favoriscono una gestione più sostenibile e consapevole del territorio, promuovendo il rispetto per la natura e la cultura locale. Inoltre, questi progetti contribuiscono a migliorare la qualità della vita delle comunità locali, offrendo loro nuove opportunità di lavoro legate al turismo ecologico e alla gestione del patrimonio naturale.

I progetti di recupero delle aree naturali hanno anche un impatto positivo sulla biodiversità locale, proteggendo e preservando ecosistemi sensibili. Infine, il coinvolgimento delle associazioni di escursionismo e delle comunità locali permette di rafforzare il senso di appartenenza al territorio e di sensibilizzare il pubblico alla tutela ambientale.

Conclusioni

Il Bando Ambiente promosso dalla Federazione Italiana Escursionismo rappresenta un’importante iniziativa a favore della salvaguardia e della valorizzazione del nostro patrimonio naturale. Con il supporto dell’investimento stanziato dalla FIE per i vincitori del bando e la collaborazione delle comunità locali, questi progetti sono riusciti a restituire valore e fruibilità a numerosi siti naturali, migliorando la qualità dell’offerta escursionistica in Italia e favorendo la diffusione di un turismo ecologico e consapevole. Questi interventi, oltre a preservare il nostro patrimonio ambientale, sono anche un motore di sviluppo per le economie locali, promuovendo un modello di turismo sostenibile che potrebbe rappresentare un futuro a lungo termine per molte zone naturali italiane.

Eleonora Crestani
Giunta Federale

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Dalla FIE: La pulizia dei sentieri: un’attività importante non solo per l’escursionismo

Il mantenimento e la cura dei sentieri naturali rappresentano una delle attività più significative per la salvaguardia degli ambienti rurali e montani, nonché per la promozione di uno stile di vita in armonia con la natura. In un’epoca in cui il rapporto con l’ambiente è divenuto un tema centrale sia nelle politiche pubbliche che nelle scelte individuali, l’attenzione rivolta alla pulizia dei sentieri si configura come un impegno imprescindibile per garantire la sostenibilità degli spazi naturali. L’attività di pulizia va ben oltre la mera rimozione dei rifiuti; essa coinvolge un insieme di pratiche che spaziano dalla manutenzione preventiva alla gestione di emergenze ambientali, coinvolgendo autorità locali, associazioni di volontariato e cittadini consapevoli. Tale sinergia non solo contribuisce a mantenere inalterata la bellezza dei paesaggi, ma svolge anche un ruolo fondamentale nella tutela della biodiversità, nella prevenzione dell’erosione del suolo e nella promozione di una cultura del rispetto verso l’ecosistema.

Il sentiero, inteso come percorso di connessione tra l’uomo e la natura, assume una valenza sia simbolica che funzionale, andando ben oltre il semplice tragitto. Ogni percorso diventa un corridoio di vita in cui flora, fauna e attività umane si intrecciano, rendendo ogni intervento volto alla sua cura un investimento sul futuro ambientale e sociale della comunità. La manutenzione accurata garantisce non solo ambienti più sicuri per gli escursionisti, ma anche spazi in cui il contatto diretto con la natura favorisce il benessere psicofisico, offrendo un’occasione preziosa per rigenerarsi lontano dalla frenesia quotidiana. Una regolare attività di pulizia riduce il rischio di incidenti causati da ostacoli imprevisti – come rami spezzati o detriti – e permette di mantenere un’adeguata segnaletica, indispensabile per orientarsi in territori caratterizzati da una conformazione complessa e variegata.

Dal punto di vista ecologico, la gestione dei sentieri si configura come una misura preventiva essenziale contro il degrado ambientale. La presenza di rifiuti e materiali abbandonati non solo deforma il paesaggio, ma può favorire la proliferazione di specie invasive, alterando l’equilibrio naturale degli habitat circostanti. Rimuovere tempestivamente questi materiali, unitamente a interventi mirati di ripristino del suolo, contribuisce a mitigare i rischi di erosione e desertificazione, fenomeni che minacciano la stabilità degli ecosistemi. Inoltre, il monitoraggio costante dei percorsi offre dati preziosi sullo stato dell’ambiente, strumenti utili per pianificare interventi di conservazione sempre più mirati e per valutare l’impatto delle attività umane sul territorio.

Il valore economico e turistico dei sentieri ben curati non può essere sottovalutato. In molte regioni, il turismo naturalistico rappresenta una risorsa fondamentale per l’economia locale, e percorsi mantenuti con cura sono un elemento distintivo in grado di attrarre visitatori da ogni parte del mondo. La sicurezza degli escursionisti, ottenuta grazie a sentieri puliti e ben segnalati, non solo migliora l’esperienza turistica ma favorisce anche lo sviluppo di attività connesse, quali l’ospitalità e la ristorazione. Investire nella manutenzione dei percorsi diventa così un elemento chiave per stimolare una crescita economica sostenibile, creando un circolo virtuoso in cui il benessere dell’ambiente si traduce in benefici tangibili per l’intera comunità.

L’approccio alla manutenzione dei sentieri deve essere integrato e multidisciplinare, coinvolgendo competenze che spaziano dall’ingegneria ambientale alla gestione dei rifiuti, dalla biologia alla pianificazione territoriale. Tecnologie innovative – come l’uso di droni, sensori ambientali e sistemi di monitoraggio satellitare – hanno rivoluzionato il modo di rilevare e risolvere le problematiche legate ai percorsi naturali. Questi strumenti consentono di individuare in tempo reale aree a rischio, permettendo interventi tempestivi e mirati che uniscono la precisione delle nuove tecnologie all’esperienza degli operatori sul campo. La collaborazione tra istituzioni, enti di ricerca e comunità locali è pertanto imprescindibile per creare reti di monitoraggio efficaci e per sviluppare soluzioni che integrino strumenti moderni con pratiche consolidate.

La sensibilizzazione e l’educazione ambientale giocano un ruolo centrale nel promuovere una responsabilità collettiva verso la tutela dei sentieri. Campagne informative, programmi di formazione rivolti a cittadini, scuole e turisti, e iniziative di volontariato sono strumenti fondamentali per diffondere una cultura del rispetto e della cura del territorio. Quando le persone comprendono che la pulizia dei sentieri non è un atto isolato ma un contributo al benessere generale e alla salute pubblica, si creano le condizioni per un cambiamento positivo e duraturo. Il coinvolgimento attivo della comunità, che va dal partecipare a giornate di pulizia collettiva all’adozione di comportamenti responsabili, trasforma ogni intervento in un’opportunità di crescita sociale e di rafforzamento dei legami tra individui e territorio.

Le dinamiche climatiche e le variazioni stagionali rappresentano ulteriori sfide nella gestione dei sentieri. In seguito a piogge intense o a eventi meteorologici estremi, i percorsi possono subire danni notevoli, rendendo necessari interventi di ripristino e rinforzo strutturale. La resilienza di un sentiero – la capacità di resistere e recuperare da tali eventi – dipende in larga misura dalla frequenza e dalla tempestività degli interventi di manutenzione. In questo contesto, la prevenzione diventa il pilastro su cui si fonda la sicurezza e la durabilità dei percorsi, soprattutto in un’epoca in cui il cambiamento climatico accentua la frequenza e l’intensità delle condizioni meteorologiche estreme.

La dimensione sociale dell’attività di pulizia dei sentieri si manifesta nella capacità di creare un senso di comunità e di appartenenza, rafforzando il legame tra i cittadini e il territorio. La partecipazione alle iniziative di manutenzione, sia organizzate che spontanee, favorisce la creazione di reti di solidarietà e la condivisione di valori legati alla tutela dell’ambiente. Queste attività, oltre a migliorare la fruibilità dei percorsi, diventano momenti di condivisione e di educazione, in cui ogni gesto di cura si trasforma in un contributo significativo alla costruzione di un futuro sostenibile. Il coinvolgimento diretto dei cittadini, unito a politiche pubbliche mirate, permette di creare un ambiente in cui il rispetto per la natura è non solo un valore condiviso, ma anche un impegno concreto e quotidiano.

L’adozione di una visione a lungo termine nella gestione dei sentieri è indispensabile per fronteggiare le sfide ambientali del nostro tempo. In un contesto caratterizzato da cambiamenti rapidi e pressioni antropiche crescenti, la pianificazione strategica diventa fondamentale per garantire la fruibilità e la conservazione dei percorsi. Un approccio integrato, che unisce la pulizia dei sentieri a misure di ripristino ecologico e a programmi di educazione ambientale, genera effetti positivi che si estendono ben oltre il semplice aspetto estetico. La creazione di reti di collaborazione tra enti pubblici, associazioni e cittadini è il fondamento di una gestione efficace che guarda al futuro, trasformando ogni intervento in un tassello essenziale per la tutela del patrimonio naturale.

Analizzando le best practice a livello internazionale, emerge come la manutenzione integrata dei sentieri possa rappresentare un modello esemplare per la protezione dell’ambiente. Le esperienze di realtà che hanno saputo coniugare strategie innovative con l’impegno della comunità dimostrano come la sinergia tra tecnologia e azione diretta possa portare a risultati straordinari. La condivisione di metodologie e conoscenze tra diverse regioni favorisce l’adozione di soluzioni adattabili alle specificità locali, aumentando la resilienza degli ecosistemi e contribuendo a un’efficace risposta collettiva alle emergenze ambientali. In questo quadro, la collaborazione internazionale si configura come un’opportunità per creare reti di supporto capaci di rafforzare la gestione dei sentieri in maniera coordinata e lungimirante.

Il valore educativo e culturale dei sentieri è un aspetto spesso trascurato, ma di inestimabile importanza per il futuro della convivenza tra uomo e natura. Ogni percorso, con le sue peculiarità paesaggistiche e storiche, racconta una storia che va ben oltre l’uso ricreativo. I sentieri rappresentano testimonianze della memoria storica e delle tradizioni locali, e la loro cura diventa un atto di preservazione del patrimonio culturale. Attraverso iniziative di interpretazione ambientale, laboratori didattici e visite guidate, è possibile valorizzare questi spazi, trasformandoli in aule a cielo aperto dove il sapere ambientale si trasmette in maniera diretta e coinvolgente. Questa integrazione tra educazione e gestione del territorio non solo arricchisce il bagaglio culturale dei partecipanti, ma stimola anche una maggiore consapevolezza dei processi naturali e delle dinamiche ecologiche.

Il beneficio sulla salute pubblica, indissolubilmente legato alla cura dei sentieri, si rivela attraverso la promozione di stili di vita attivi e sostenibili. L’accesso a spazi naturali ben mantenuti favorisce l’attività fisica, riducendo il rischio di patologie legate alla sedentarietà e allo stress quotidiano. Un ambiente curato e pulito diventa il palcoscenico ideale per praticare escursionismo, ciclismo e altre forme di mobilità sostenibile, contribuendo così al benessere psicofisico degli individui e, di conseguenza, a una riduzione dei costi sanitari collettivi. Investire nella manutenzione dei sentieri significa, dunque, investire sulla salute della comunità, creando un legame virtuoso tra la tutela dell’ambiente e il miglioramento della qualità della vita.

In definitiva, l’importanza della pulizia dei sentieri si manifesta in una molteplicità di aspetti che spaziano dalla tutela dell’ambiente alla promozione di un turismo responsabile, dalla prevenzione dei rischi legati all’erosione alla diffusione di una cultura del rispetto per la natura. Ogni intervento, per quanto possa sembrare di natura tecnica, ha ricadute positive su ogni livello: sociale, economico, culturale e ambientale. La cura dei percorsi diventa così un atto di responsabilità collettiva, un investimento nel futuro delle generazioni e un segnale forte della volontà di costruire un mondo in cui la sostenibilità non sia solo un obiettivo, ma una realtà quotidiana.

Scoprire, proteggere e valorizzare i sentieri significa riconoscere il valore inestimabile di ogni angolo di natura e la necessità di un impegno costante e condiviso. Ogni passo percorso su un sentiero pulito diventa il simbolo tangibile di una convivenza armoniosa tra uomo e ambiente, in cui il benessere del territorio si trasforma in benessere collettivo. L’attività di manutenzione, unita a una strategia di educazione e prevenzione, costituisce la chiave per garantire che questi percorsi rimangano intatti e fruibili, oggi e domani. È in questo spirito che la cura dei sentieri si configura come un pilastro fondamentale per la salvaguardia del nostro patrimonio naturale, un patrimonio che va protetto, valorizzato e tramandato con orgoglio alle future generazioni.

La strada verso un futuro sostenibile si costruisce giorno dopo giorno, passo dopo passo, con l’impegno di ogni singolo individuo e la collaborazione di intere comunità. La cura dei sentieri non è solo una questione di estetica, ma il riflesso di un’attitudine etica e responsabile, capace di trasformare piccoli gesti quotidiani in azioni che, sommate, generano un impatto profondo e duraturo. In questo percorso, il valore della pulizia dei sentieri si rivela come una leva fondamentale per la tutela dell’ambiente, per lo sviluppo di un’economia sostenibile e per il rafforzamento del senso di comunità, dimostrando che ogni azione, per quanto possa sembrare minuta, contribuisce in maniera decisiva a scrivere la storia di un territorio e di una società che sa guardare al futuro con speranza e determinazione.

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Dalla FIE: Accelerare il metabolismo: come intervallare le uscite per massimizzare i benefici

Accelerare il metabolismo rappresenta una sfida affascinante per chi desidera ottimizzare la propria forma fisica e migliorare il benessere complessivo, e intervallare le uscite rappresenta uno strumento prezioso per raggiungere questo obiettivo in maniera naturale e sostenibile. L’idea di combinare momenti di esercizio a ritmo elevato con periodi di recupero attivo permette non solo di stimolare il sistema energetico in modo più efficace, ma anche di ottenere benefici che vanno ben oltre il semplice aumento della combustione calorica durante l’attività. Quando si parla di accelerare il metabolismo, ci si riferisce a un insieme di processi biologici che regolano la trasformazione delle sostanze nutritive in energia, un fenomeno influenzato da molteplici fattori, quali l’età, la composizione corporea, il livello di attività fisica e persino lo stress psicologico. L’approccio degli intervalli, che prevede l’alternanza di fasi di lavoro intenso e momenti di recupero, si rivela particolarmente efficace in questo ambito, poiché permette al corpo di attivare meccanismi fisiologici fondamentali, come l’aumento della produzione di ormoni benefici e la stimolazione della sintesi mitocondriale, contribuendo così a una maggiore efficienza nel processo di ossidazione dei grassi e nell’utilizzo dell’energia.

In questo contesto, intervallare le uscite diventa una strategia che va oltre il semplice esercizio aerobico tradizionale. Quando si cammina a ritmo variabile, alternando tratti in cui il passo accelera e altri in cui si recupera, il corpo è costretto a rispondere in maniera dinamica alle richieste energetiche. Questo stimolo intermittente favorisce un fenomeno noto come effetto post-combustione, il quale porta a un incremento del dispendio energetico anche a riposo, rendendo il metabolismo più attivo per ore dopo l’allenamento. Le evidenze scientifiche suggeriscono che questo metodo di allenamento possa contribuire a migliorare la sensibilità insulinica, favorire la regolazione dei livelli di glucosio nel sangue e supportare il mantenimento di una composizione corporea più equilibrata, soprattutto in termini di riduzione del grasso corporeo e aumento della massa muscolare.

Il meccanismo alla base di questi benefici si fonda sull’abilità del corpo di adattarsi rapidamente alle variazioni di intensità. Durante i periodi di lavoro intenso, si verifica un aumento del consumo di ossigeno e una maggiore produzione di energia attraverso processi anaerobici e aerobici. Questo aumento dell’attività metabolica induce una risposta ormonale, con la secrezione di adrenalina e noradrenalina, che contribuiscono a mobilitare gli acidi grassi dai depositi adiposi, rendendoli prontamente disponibili come fonte di energia. I successivi momenti di recupero attivo, invece, permettono al corpo di consolidare questo processo, favorendo la rimozione dei prodotti metabolici e la rigenerazione delle riserve energetiche. In pratica, l’alternanza fra intensità e recupero crea un ciclo virtuoso che, ripetuto nel tempo, porta a un miglioramento della capacità del corpo di gestire gli stress metabolici, rendendo il sistema energetico più flessibile e reattivo.

È importante sottolineare come l’intervallare le uscite non implichi necessariamente l’esecuzione di esercizi estremamente intensi, ma piuttosto una modulazione del ritmo in modo da creare una variazione naturale del carico di lavoro. Adottare questo approccio significa, ad esempio, scegliere percorsi che alternino tratti pianeggianti a salite leggere, dove il ritmo aumenta gradualmente, seguito da tratti di discesa o camminata in piano che consentono un recupero attivo. Questo tipo di allenamento risulta accessibile a una vasta gamma di soggetti, dai neofiti agli atleti più esperti, poiché l’intensità può essere adattata alle capacità individuali e alle condizioni fisiche del momento. La chiave sta nell’ascolto del proprio corpo e nel riconoscere i segnali di affaticamento, evitando di spingersi oltre i limiti personali per non incorrere in infortuni o in una fatica eccessiva che potrebbe vanificare i benefici ottenuti.

Il concetto di “intervallo” si applica anche alla frequenza delle uscite nel corso della settimana. Piuttosto che impegnarsi in sessioni prolungate di esercizio a ritmo costante, l’ideale è pianificare allenamenti che includano momenti di intensità variabile, alternando giornate dedicate a uscite a ritmo moderato a sessioni in cui si integrano brevi periodi di cammino veloce o salite più impegnative. Questa strategia permette al metabolismo di “risvegliarsi” e mantenersi attivo anche durante le ore di riposo, con un effetto benefico noto come post-combustione. In termini pratici, è possibile strutturare una settimana di allenamento in cui, ad esempio, due o tre giorni siano dedicati a uscite con intervalli strutturati, mentre il resto del tempo viene impiegato per camminate a ritmo costante e di recupero. Tale organizzazione non solo migliora l’efficienza metabolica, ma aiuta anche a prevenire il rischio di sovraccarico, favorendo un recupero ottimale e riducendo il rischio di lesioni.

Un ulteriore aspetto da considerare riguarda l’importanza della durata e dell’intensità degli intervalli. Studi recenti indicano che, per ottenere un effetto metabolico significativo, è necessario raggiungere soglie di intensità che stimolino il sistema cardiovascolare senza però esagerare con sforzi che possano risultare controproducenti. In questo senso, la misurazione della frequenza cardiaca può rappresentare un utile strumento di monitoraggio: mantenere i picchi di intensità entro una percentuale adeguata del battito cardiaco massimo permette di garantire un allenamento efficace, bilanciando i benefici dell’attività fisica con la sicurezza e il benessere del soggetto. L’utilizzo di dispositivi indossabili, ormai sempre più diffusi, consente di tracciare in tempo reale l’andamento dell’attività, offrendo dati preziosi per personalizzare ulteriormente gli interventi e ottimizzare il rapporto tra sforzo e recupero.

Parallelamente all’aspetto fisico, l’effetto psicologico di un allenamento intervallato non va sottovalutato. La variabilità del ritmo e il cambiamento costante dell’intensità mantengono alta la motivazione e riducono il rischio di monotonia, favorendo un’esperienza più coinvolgente e gratificante. Questo approccio dinamico è in grado di stimolare non solo il corpo, ma anche la mente, rendendo l’attività fisica un momento di svago e di connessione con se stessi. Il piacere di alternare fasi di spinta ad altre di rilassamento aiuta a sviluppare una maggiore consapevolezza del proprio corpo e a riconoscere i segnali che indicano quando è il momento di accelerare o di rallentare, contribuendo a creare una relazione più equilibrata e sostenibile con l’esercizio fisico.

L’alimentazione gioca un ruolo complementare fondamentale in questo contesto. Per massimizzare i benefici di un’attività fisica intervallata, è essenziale adottare un regime nutrizionale che supporti l’aumento del metabolismo. L’assunzione di carboidrati complessi, proteine di alta qualità e grassi sani fornisce l’energia necessaria per affrontare i picchi di intensità e favorisce il recupero muscolare dopo l’allenamento. Inoltre, mantenere un’adeguata idratazione è cruciale per garantire un funzionamento ottimale delle cellule e per facilitare i processi metabolici. Anche piccoli accorgimenti, come uno spuntino pre-allenamento a base di frutta o una bevanda arricchita con elettroliti, possono fare la differenza nel sostenere l’energia e prevenire la fatica.

Nel percorso verso un metabolismo più attivo, è importante anche considerare il ruolo del riposo e del recupero. L’equilibrio tra esercizio e riposo è determinante per evitare il fenomeno dell’overtraining, che può infatti portare a un rallentamento del metabolismo e a un aumento del rischio di infortuni. Programmare giorni di recupero attivo, durante i quali l’attività fisica viene mantenuta a livelli bassi e costanti, permette al corpo di rigenerarsi e di assimilare i benefici degli allenamenti intensi. Questo approccio olistico, che integra esercizio, alimentazione e riposo, rappresenta il segreto per accelerare il metabolismo in modo naturale e duraturo, trasformando ogni uscita in un’occasione per migliorare la salute e la qualità della vita.

Il concetto di “intervallare le uscite” diventa così una filosofia di allenamento, capace di trasformare una semplice passeggiata in un vero e proprio percorso di benessere globale. L’adozione di questa strategia non solo aiuta a bruciare più calorie, ma stimola anche la produzione di enzimi e ormoni che favoriscono la trasformazione dei nutrienti in energia, rendendo il corpo più efficiente e resiliente. La regolarità degli allenamenti, unita a una pianificazione attenta e personalizzata, può portare a risultati tangibili nel medio-lungo termine, migliorando la capacità di resistere agli stress quotidiani e contribuendo a una migliore gestione del peso. In un’epoca in cui la sedentarietà e lo stress rappresentano minacce concrete per la salute, adottare un approccio intervallato all’attività fisica diventa una scelta consapevole per preservare e potenziare il proprio benessere, trasformando ogni uscita in un investimento prezioso per il futuro.

L’esperienza maturata da numerosi praticanti testimonia come la variazione del ritmo non solo renda l’allenamento più stimolante, ma favorisca anche una maggiore adattabilità del sistema metabolico a diverse condizioni ambientali e fisiologiche. Ogni passo, ogni accelerazione e ogni momento di recupero, se eseguiti in modo consapevole, rappresentano tasselli fondamentali in un percorso che mira a rendere il corpo un’armoniosa macchina capace di sfruttare al meglio le risorse energetiche. La chiave del successo risiede nella personalizzazione dell’allenamento: ascoltare il proprio corpo, adeguare l’intensità degli sforzi alle proprie condizioni e non avere fretta di raggiungere risultati immediati. È un percorso che richiede costanza, pazienza e un’attenzione particolare alle sensazioni che emergono durante l’attività, ma che, a lungo termine, premia con benefici che si riflettono in una migliore qualità della vita e in una salute ottimale.

Le evidenze scientifiche e le esperienze sul campo suggeriscono che un approccio ben strutturato, che alterna momenti di lavoro intenso a fasi di recupero, possa incrementare significativamente il metabolismo basale, rendendo il corpo capace di bruciare calorie in maniera più efficiente anche durante il riposo. Questo effetto, noto come consumo di ossigeno in eccesso post-esercizio (EPOC), è uno dei meccanismi chiave che permette di prolungare i benefici dell’attività fisica ben oltre il termine della sessione di allenamento. In definitiva, l’adozione di uscite intervallate rappresenta un’opportunità preziosa per chi desidera non solo migliorare la propria performance fisica, ma anche investire nella salute a lungo termine, sfruttando le potenzialità del proprio metabolismo in un’ottica integrata e sostenibile.

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Dalla FIE: L’escursionismo e l’etnobotanica – Parte 1

L’importanza dello stretto rapporto che instauriamo con la natura legato anche alla conservazione del nostro patrimonio culturale.

Fin dai primordi della storia l’uomo si è avvicinato al mondo vegetale con un rapporto le cui regole erano dettate dalle necessità di sussistenza, cercando in esso in primis i materiali per nutrirsi, per costruire le proprie case. Con l’evolversi delle strutture sociali questo legame si è articolato in modo più complesso, con l’utilizzo ad esempio dell’impiego delle piante in tutti gli ambiti dell’attività umana, da quello agricolo-pastorale, igienico-cosmetico, ma anche rituale, ruoli in cui spesso le piante assumono un’unica ricca valenza nella sfera della magia e delle credenze religiose. Lo sviluppo di questo rapporto, osservato in chiave storica, ha visto la sua evoluzione di pari passo con l’acquisizione di novi elementi di conoscenza.

Ogni popolo ha instaurato con il mondo delle piante un rapporto di stretta connessione e per molti aspetti di interdipendenza. Lo studio di questo tipo di relazione è l’etnobotanica, è una scienza interdisciplinare che studia l’uso e la percezione delle specie vegetali all’interno della società umana.

Perché ho premesso questo? Gli unici motivi sono la passione per ciò che incontro durante le escursioni, la conseguente voglia di classificare e conoscere ciò che non conosco e la voglia di ricercare, oltre alla semplice scheda botanica, tutte quelle leggende, aneddoti, usi fitoterapici ed altro, strettamente legati all’elemento preso in osservazione

Inizierò quindi da un albero di cui sono ricchi i nostri boschi, che annovera in Italia ma anche all’estero esemplari di dimensioni ragguardevoli ed al quale sono legate tantissime interessanti storie da raccontare, anche ai più giovani, prima che vadano perdute, con la speranza che un pò di favola ed un pò di ironia possa accendere in loro la curiosità che ci rende vivi e spettatori di uno spettacolo che ogni giorno abbiano gratuitamente sotto agli occhi.

La Quercia

Intanto c’è da dire subito che la famiglia delle Fagacee a cui essa appartiene comprende tantissime varietà:

  • Quercus ilex (leccio),
  • Quercus pubescens (roverella),
  • Quercus cerris (cerro),
  • Quercus suber (sughera),
  • Quercus petraea (rovere),
  • Quercus robur (farnia).

Le differenze tra le varietà sono molteplici: anche se tutte appartengono alla stessa famiglia. Vediamo di capirci qualcosa per poterle riconoscere.

Il leccio produce come le altre quercus la ghianda ma a differenza delle cuginette è sempre verde, mentre le altre quercus sono caducifoglie. Il cerro si riconosce molto bene dal ricciolo che ricopre la capsula che contiene la ghianda.  Altro modo per distinguerle è il peduncolo della ghianda e la lobatura e dentatura delle foglie che varia da specie a specie.

Ghianda del leccio

Giusto perché vi venga un pochina di curiosità ed andiate a vedere di cosa parlo, perché lo scopo principale non era questo.

La quercia è un affascinante albero, ricco di storia e aneddoti, simbolo di fortezza (“forte come una quercia”) utile in ogni sua parte sia come nutrimento che come sostentamento di tanti esseri viventi, osannato in poemi e utilizzato dai filosofi; ha un’aurea di sacralità, molte delle storie e delle leggende su questo albero sono in qualche modo legate al sacro. Nell’antica Grecia ad esempio era l’albero consacrato a Zeus; i romani usavano adornare il capo di chi aveva dimostrato valore con una corona composta da rami di quercia. Privilegio della quercia era l’ospitare delle ninfe: le driadi (che potevano abbandonare l’albero, da qui il divieto di abbattere la quercia), e le amadriadi che invece morivano con la pianta. Le amadriadi venivano considerate come immortali ed appena una quercia era in pericolo, esse scoppiavano in pianti e lamenti minacciosi, e così via, si potrebbe scrivere all’infinito.

Volevo invece raccontarvi il motivo per cui questa bellissima pianta conserva le sue foglie ormai essiccate ancora attaccate sui suoi rami fino allo spuntare delle nuove gemme.

Secondo un’antichissima leggenda sarda il Diavolo si recò da Dio, chiedendoli di avere potere sui boschi e sulle foreste. Dio gli concesse quanto chiesto soltanto nel momento in cui boschi e foreste saranno privi di fogliame. Saputa la notizia dell’avvenuto patto gli alberi del bosco iniziarono a preoccuparsi ed agitarsi. Il carpino, il tiglio, il faggio e l’olmo si chiedevano avviliti cosa fare per non avere quell’ospite così indesiderato tra di loro. Al faggio venne l’idea di consultare la grande quercia che dopo aver ben riflettuto decise di tentare di trattenere le foglie secche sui suoi rami almeno fino a quando agli altri alberi non fossero spuntate le nuove gemme. Così avvenne ed il Diavolo fu beffato. Da allora la savia quercia trattiene il fogliame secco per tutto l’inverno, finché in primavera non iniziano a spuntare sui suoi rami le prime foglioline verdi.

Un altro simpatico aneddoto relativo alla quercia ci trasferisce in Germania alla scoperta di un insolito Cupido. Nonostante ad oggi esistano tantissime app e siti che promettono di far trovare l’anima gemella in Germania ad Eutin esiste un albero a cui hanno assegnato anche un indirizzo postale perché questa fantastica quercia riceve circa 40 lettere d’amore al giorno da tutto il mondo, circa 1000 all’anno. La “Quercia dello sposo” trovatasi ad essere l’inconsapevole protagonista di una storia d’amore a lieto fine nel 1890, in cui i due innamorati, le cui famiglie non ne volevano sapere di farli mettere insieme, decisero di incontrarsi scambiandosi lettere che poi lasciavano in un nodo di questo albero; furono poi scoperti, ma quando furono lette tutte le loro lettere i genitori acconsentirono finalmente a farli sposare. Strana moda amorosa quella che dal 1927 vede persone di tutti i generi, alla ricerca dell’amore, scrivere all’indirizzo della quercia dello sposo con la speranza di trovare finalmente ciò che cercano….

Vi do l’indirizzo, non si sa mai:

Bräutigamseiche -Dodauer Forst – 23701 Eutin – Germania

In Toscana ci sono esemplari di quercia di grandissime dimensioni. Vi elenco due tra le più famose:

  • La quercia delle streghe a Collodi (esemplare di Quercus ruber-Farnia), sui cui rami queste donne amavano adagiarsi per le loro strane riunioni e sotto alla cui ombra sembra perfino che l’autore di Pinocchio amasse sedersi per la scrittura del suo libro, in cui la cita quado ci racconta che gli assassini vi impiccarono Pinocchio. Vanta circa 600 anni. Salvata dai nazisti che ne volevano fare legna da ardere, colpita poi da un fulmine negli anni Sessanta. Ha subito diversi danni anche a causa del continuo calpestio delle sue radici ad opera dei turisti.
  • La quercia delle Checche (checca è il nome con cui in alcune zone della Toscana si indica la gazza). Sembra che l’esemplare (Quercus petraea-rovere), vanti circa 380 anni. Questo albero ha ottenuto nel 2017 il riconoscimento MiBACT (primo monumento verde d’Italia). Purtroppo adesso non versa in buonissime condizioni a causa del crollo di alcuni rami, degli atti vandalici a cui è stata sottoposta ed i “soliti litigi” sulle competenze di chi deve o non preservarla……

Gli usi di questa bellissima pianta:

  • per il legno duro, resistente ed aromatico, si usa in edilizia, carpenteria e produzione di botti per il vino;
  • per la produzione di tannino, sostanza utilizzata per la concia delle pelli;
  • alcune delle sue specie producono ghiande commestibili che una volta venivano utilizzate come fonte di cibo da molte culture.

Per l’uso fitoterapico/medicinale: alcune delle sostanze contenute nella quercia hanno proprietà astringenti, emostatiche, antinfiammatorie, analgesiche del cavo orale. Utilizzato come decotto o infuso per lavarsi, diminuisce la sudorazione.  Sono piante visitate dalle api per la produzione di miele di melata, chiamato anche miele di bosco perché non deriva dalla raccolta del nettare dei fiori, ma da una sostanza dolce (la melata appunto) prodotta da alcuni insetti che succhiano ed elaborano la linfa per nutrirsene. A proposito di insetti, le loro punture sulla quercia provocano la creazione di strani oggetti che vi sarà sicuramente capitato di vedere: le galle. Eccone alcuni esempi:

Alla prossima puntata…

Marta Cantagalli
Accompagnatrice Escursionistica
Toscana

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