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Dalla FIE: I sistemi GPS, un ausilio pratico per il trekking e l’escursionismo

Oggi la sempre maggiore diffusione dell’uso del computer, dello smartphone e della tecnologia in genere come supporto a tante attività quotidiane, rendono un grande servizio alle attività di tipo escursionistico, aumentandone notevolmente il livello di sicurezza, oltre a permettere di conoscere meglio il territorio e godere con più tranquillità della bellezza dei luoghi visitati. L’uso della tecnologia, ovviamente, non può sostituire completamente l’utilizzo degli strumenti comunemente utilizzati dall’escursionista, la bussola e la mappa cartacea oltre che lo studio dei rudimenti basilari della cartografia e dell’orienteering. Tuttavia, se gli strumenti tecnologici vengono anch’essi studiati con attenzione e non usati in modo sprovveduto, possono rappresentare un ausilio eccellente alla progettazione di nuove esperienze escursionistiche oltre che alla loro tracciatura e diffusione presso la grande platea degli appassionati.

Il sistema GPS

Parlare di tecnologia legata all’escursionismo, vuol dire parlare sopratutto (ma non soltanto) di Global Positioning System (GPS) cioè il sistema di Posizionamento Globale.

Il Sistema di Posizionamento Globale è un sistema di posizionamento e navigazione satellitare, nato principalmente per scopi militari, che, attraverso una rete di circa 32 satelliti artificiali in orbita attorno alla Terra, fornisce ad un terminale mobile, o ricevitore GPS (oggi presente in tutti gli smartphone e nelle apparecchiature dedicate agli escursionisti o ai navigatori), informazioni sulle coordinate geografiche della posizione in cui si trova il terminale stesso, in ogni condizione meteorologica, ovunque sulla Terra ove vi sia una visibilità priva di ostacoli, di almeno quattro satelliti del sistema.

La localizzazione avviene tramite la trasmissione di un segnale radio da parte di ciascun satellite e l’elaborazione dei segnali ricevuti da parte del ricevitore.

Il principio di funzionamento si basa su una triangolazione sferica (trilaterazione), che parte dalla misura del tempo impiegato da un segnale radio a percorrere la distanza satellite-ricevitore. Per il calcolo della differenza dei tempi il segnale inviato dal satellite è di tipo orario, cioè contenente l’ora precisa in cui è stato inviato, segnata dall’orologio atomico presente sul satellite che è sincronizzato, con una certa tecnica, con quello del ricevitore: il ricevitore calcola l’esatta distanza dal satellite a partire dalla differenza (dell’ordine dei microsecondi) tra l’orario pervenuto e quello del proprio orologio, tenendo conto della velocità di propagazione del segnale, che è la velocità della luce.

Generalmente l’accuratezza della posizione determinata dall’attuale sistema è attorno ai 5 metri e, salvo casi particolari come alti palazzi o strette gole, non supera i 10 metri.

I ricevitori GPS sono oggi utilizzati in tutta la navigazione aerea, marittima e terrestre, associati a cartografia memorizzata nei navigatori per uso automobilistico e come ausilio alle attività outdoor. Il funzionamento e la precisione del sistema GPS non sono garantiti in modo assoluto e dipendono, in parte, anche dal sistema di satelliti utilizzati per il rilevamento.

Principali sistemi satellitari globali di navigazione:

  • Lo statunitense Global Positioning System (GPS) è composto da 32 satelliti in orbita su sei differenti piani orbitali, dei quali 24 in uso ed 8 di riserva.
  • Il sistema sovietico GLONASS.
  • La Cina possiede un proprio sistema globale di navigazione, chiamato Beidou il quale utilizza 4 satelliti (tre operativi ed uno di riserva).
  • Il sistema di posizionamento Galileo è invece totalmente sviluppato in Europa dall’ESA (Agenzia Spaziale Europea) e può contare su 26 satelliti orbitanti.

Cartografia computerizzata

L’uso del GPS in un’escursione può essere di una utilità ancora maggiore se associato all’utilizzo della cartografia gestita col computer.

Esistono tanti programmi software, anche gratuiti, che permettono di vedere le mappe cartografiche sullo schermo del computer, in modo tale che alla posizione del mouse sulla mappa corrispondono sempre le coordinate, metriche o angolari, del punto indicato dal mouse, secondo il Datum della mappa.

Il Datum

Quando si parla di coordinate geografiche, è essenziale considerare l’ellissoide di riferimento, poiché la Terra non è una sfera perfetta ma un geoide. Per calcolare con precisione le coordinate, si utilizza un’approssimazione matematica del geoide con un ellissoide, definito all’interno di un Datum, che rappresenta le caratteristiche geometriche e dimensionali di riferimento. Nel tempo, diverse nazioni hanno adottato Datum locali per la loro cartografia, ma con l’avvento dei sistemi GPS si è diffuso l’uso del WGS84, un Datum globale introdotto nel 1984. Tuttavia, le coordinate possono variare a seconda del Datum utilizzato, motivo per cui è sempre necessario specificarlo. In Italia, oltre al WGS84, sono ancora utilizzati il Datum ED50 e il Roma 1940.

La calibrazione

Le mappe devono essere “calibrate” o “geo-referenziate”. Questo si può ottenere acquisendo una mappa, o parte di essa, con uno scanner, e poi con gli stessi programmi, selezionando almeno 4 punti non allineati della mappa, associando ad essi le coordinate rilevate dalla mappa e il Datum con il quale la mappa è stata realizzata, e salvando queste informazioni in un file che accompagna il file immagine della mappa.

Questa operazione può sembrare più o meno difficile e noiosa, ma si tenga presente che esistono su internet, o si possono acquistare, tantissime mappe già calibrate e pronte all’uso.

Una mappa calibrata è normalmente costituita dall’insieme di un file immagine JPG, PNG o altro, e un file di tipo testo, contenente il Datum e la corrispondenza tra i punti selezionati dell’immagine (in pixel) e le coordinate geografiche.

Il tracciamento

Il fatto più interessante è che, se su queste mappe seguiamo col mouse, per esempio, un sentiero riportato, o una mulattiera evidente, o un qualunque sentiero che sembra percorribile, possiamo disegnare una traccia che poi, sotto la forma di un piccolo file, possiamo trasferire dal computer sul nostro ricevitore GPS e che ci può guidare lungo il sentiero.

Inoltre, camminando col nostro GPS, possiamo registrare tutto il percorso effettuato, come sequenza di punti rilevati, per esempio, ogni 10 secondi, che poi possiamo trasferire sul nostro computer, sotto la forma di un altro piccolo file, e che ci permette di rivedere la nostra escursione, sovrapposta alla cartografia del posto visitato.

Parametri di navigazione

Il Waypoint è un punto di interesse, memorizzato nel ricevitore GPS. E’ possibile definire e memorizzare uno o più waypoint, ricavandone le coordinate da una mappa. Su tutti i ricevitori esiste una funzione di “marcamento” che consente di memorizzare la posizione attuale come waypoint. Ad esso è poi possibile attribuire un nome.

  • FIX: è la posizione attuale.
  • Rotta: è la direzione della congiungente tra punto di partenza e punto di arrivo. Può essere identificata come la percorrenza tra due o più waypoint.
  • SOG (Speed Over Ground): è la velocità di movimento.
  • Prua (Heading): è la direzione di avanzamento.
  • Rilevamento (Bearing): è la direzione tra il Fix e il punto di destinazione.

Navigazione sulla mappa

I ricevitori GPS di tipo cartografico, incorporano una o più mappe commutabili a piacere, sulle quali è proiettato il nostro movimento. E’ possibile sciegliere tra una visualizzazione con mappa fissa e freccia in moto (Nord su) oppure una visualizzazione con freccia fissa e mappa sempre orientata, che ruota quindi ad ogni nostro cambiamento di direzione (Traccia su). La scala della mappa può inoltre essere variata a piacere con appositi tasti.

Una Rotta, come prima indicato, può essere identificata come un’insieme di waypoint collegati in un preciso ordine. Impostando una rotta e iniziando la navigazione, il GPS ci indica la direzione del primo waypoint, passando quindi al successivo e così via, fino all’ultimo di essi.

Con un semplice comando è inoltre possibile invertire la la rotta, invertendo l’ordine dei waypoint, per tornare indietro sulla stessa strada.

Nella seconda parte parleremo di come progettare l’escursione ed arrivare a produrre una traccia da utilizzare con qualsiasi ricevitore GPS.

Paolo Latella
Presidente CR Calabria FIE

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Dalla FIE: Minimalismo in montagna: l’arte di portare con sé solo il necessario

In montagna, adottare un approccio minimalista significa abbracciare l’arte raffinata di selezionare e portare con sé soltanto ciò che è strettamente indispensabile, un percorso che richiede riflessione, esperienza e una profonda conoscenza dell’ambiente e di sé stessi. Si tratta di una filosofia che va ben oltre il semplice ridurre il peso dello zaino: è un invito a ristabilire un equilibrio tra l’essere e l’uso degli oggetti, un atto che libera dallo stress dell’eccesso e permette di concentrarsi sulla bellezza e la sfida del sentiero. L’idea fondamentale del minimalismo in montagna si radica nella consapevolezza che ogni oggetto, ogni attrezzo, deve avere una ragione d’essere ben definita, contribuendo in maniera reale alla sicurezza, al comfort e alla funzionalità durante l’escursione. In un contesto in cui le condizioni possono cambiare rapidamente, la capacità di adattarsi e di muoversi con agilità diventa essenziale, e portare un carico eccessivo può compromettere sia le prestazioni che il godimento dell’esperienza outdoor.

Quando si sceglie di seguire questo percorso, la preparazione inizia ben prima dell’uscita, con una valutazione attenta di ogni componente dell’equipaggiamento. Si analizzano le necessità in base alla durata dell’escursione, alle condizioni climatiche previste e alle specificità del percorso. Ad esempio, in alta quota o su sentieri impegnativi, la leggerezza diventa un alleato imprescindibile, ma non a scapito della sicurezza: è fondamentale selezionare materiali che offrano prestazioni elevate pur mantenendo un peso contenuto. In questo senso, la tecnologia ha offerto soluzioni innovative, con tessuti tecnici e materiali ad alte prestazioni che garantiscono isolamento termico, traspirabilità e resistenza, consentendo di eliminare l’eccesso senza compromettere la protezione. È importante dunque valutare ogni elemento dell’abbigliamento e dell’equipaggiamento, scegliendo capi e dispositivi che possano essere utilizzati in modo multifunzionale, riducendo così il numero complessivo di oggetti da portare.

Il minimalismo non riguarda solo la scelta degli oggetti, ma anche il modo in cui questi vengono organizzati e utilizzati. Un’attenta pianificazione della distribuzione del peso all’interno dello zaino può fare la differenza: si tratta di posizionare gli oggetti più importanti e di facile accesso in posizioni strategiche, mentre gli elementi di backup o quelli meno urgenti vengono riposti in modo da non creare disordine o appesantire inutilmente il sistema. L’organizzazione interna diventa quindi un vero e proprio rituale, dove ogni tasca e ogni compartimento viene pensato per massimizzare l’efficienza e minimizzare il disordine. In questo contesto, l’esperienza diretta e la sperimentazione personale giocano un ruolo fondamentale, poiché permettono di capire quali accessori e strumenti siano realmente indispensabili in diverse situazioni e quali, invece, possano essere omessi o sostituiti con alternative più leggere e compatte.

Un ulteriore aspetto da considerare riguarda la gestione delle emergenze: un escursionista minimalista non deve mai rinunciare agli strumenti essenziali per la sicurezza, come il kit di pronto soccorso, il dispositivo di segnalazione o le apparecchiature per l’orientamento. La sfida consiste nel trovare il giusto equilibrio tra il bisogno di essere preparati e la necessità di non sovraccaricarsi. La scelta degli strumenti di emergenza, ad esempio, può essere ottimizzata attraverso l’adozione di prodotti ibridi e multifunzionali, capaci di svolgere più compiti in un’unica soluzione. Questa filosofia richiede una mentalità pragmatica e un continuo aggiornamento sulle innovazioni tecnologiche, che spesso offrono risposte in linea con i principi del minimalismo, garantendo al contempo performance elevate e affidabilità nei momenti critici.

La riduzione dell’eccesso non si limita soltanto all’aspetto pratico, ma abbraccia anche una dimensione psicologica. Portare con sé solo il necessario aiuta a mantenere la mente libera, concentrata sull’esperienza del cammino e sulla connessione autentica con la natura. Il minimalismo in montagna permette di riscoprire il valore del silenzio e della semplicità, favorendo una maggiore consapevolezza del proprio corpo e dei propri limiti. L’atto di liberarsi dal superfluo diventa così un esercizio di meditazione in movimento, dove ogni passo, ogni respiro, è vissuto con intensità e gratitudine. Questo approccio si traduce in un’esperienza più ricca e significativa, in cui l’attenzione si sposta dal materiale all’essenziale, creando un legame più profondo e autentico con l’ambiente naturale.

Un’altra sfida del minimalismo è rappresentata dalla necessità di adattarsi alle variabili condizioni ambientali senza dover ricorrere a un bagaglio eccessivamente variegato. In montagna, il clima può mutare rapidamente, e ciò richiede un’attenta preparazione che tenga conto di vari scenari possibili. La scelta dei capi d’abbigliamento, ad esempio, deve essere orientata verso soluzioni che offrano versatilità: un capo tecnico che sia al tempo stesso impermeabile e traspirante, che possa essere utilizzato in condizioni di pioggia o di sole intenso, è un elemento fondamentale per il minimalista. L’innovazione nel settore outdoor ha infatti introdotto tessuti e materiali che permettono di combinare caratteristiche solitamente riservate a prodotti differenti, semplificando notevolmente l’equipaggiamento senza compromettere il comfort o la protezione.

Il percorso verso un minimalismo consapevole passa anche attraverso una revisione critica delle abitudini d’acquisto. Molti escursionisti tendono ad accumulare oggetti e gadget, spinti dalla voglia di essere preparati a ogni evenienza, ma spesso si scopre che una parte di questi accessori resta inutilizzata o poco utilizzata. Adottare un approccio minimalista significa imparare a fare scelte ponderate, privilegiando la qualità alla quantità e affidandosi a marchi che investono in innovazione e sostenibilità. La consapevolezza ambientale, infatti, è strettamente legata al minimalismo: meno oggetti significano anche un minore impatto sul pianeta, sia in termini di produzione che di smaltimento. Scegliere prodotti che abbiano una lunga durata e che possano essere riparati o aggiornati diventa così una scelta etica oltre che pratica, in linea con un approccio responsabile nei confronti della natura.

L’esperienza sul campo insegna che il minimalismo non è sinonimo di rinuncia, ma di raffinatezza nella scelta e nella gestione delle risorse personali. Gli escursionisti che adottano questo stile tendono a sviluppare un’intuizione più acuta per comprendere davvero quali strumenti servono e quali, invece, possono essere lasciati a casa. Questa capacità di discernimento si sviluppa col tempo e con l’esperienza, grazie anche al confronto con altri appassionati e alla condivisione di best practice. In molte comunità outdoor, il minimalismo è diventato un vero e proprio mantra, che invita ciascuno a migliorarsi costantemente, a cercare l’efficienza senza rinunciare al piacere del cammino. Il dialogo tra esperti e neofiti, attraverso forum, workshop e incontri in montagna, contribuisce a diffondere una cultura basata sulla funzionalità e sulla sostenibilità, arricchendo il bagaglio di conoscenze e di esperienze condivise.

L’applicazione pratica del minimalismo richiede anche un approccio sperimentale, in cui ogni uscita diventa un banco di prova per testare nuove soluzioni e verificare l’efficacia dei prodotti scelti. È fondamentale annotare le proprie impressioni, valutare la performance degli oggetti in situazioni reali e, se necessario, apportare modifiche alla propria dotazione. Questa metodologia iterativa permette di affinare costantemente l’equipaggiamento, eliminando gli elementi superflui e sostituendoli con alternative più performanti. La capacità di adattarsi, di imparare dagli errori e di cercare continuamente il miglior compromesso tra leggerezza, funzionalità e sicurezza è ciò che contraddistingue un vero escursionista minimalista.

In conclusione, l’adozione del minimalismo in montagna rappresenta molto più di una semplice strategia per ridurre il peso dello zaino: è un vero e proprio stile di vita che abbraccia la semplicità, l’efficienza e il rispetto per l’ambiente. Grazie a un’attenta selezione degli oggetti, a una pianificazione accurata e a una continua ricerca di soluzioni innovative, è possibile trasformare ogni escursione in un’esperienza più leggera, sicura e profondamente gratificante. Abbracciare il minimalismo significa riscoprire il piacere della libertà, lasciando alle spalle il superfluo per concentrarsi sul valore autentico dell’avventura, sulla bellezza dei paesaggi incontaminati e sul senso di connessione con la natura. In quest’ottica, ogni escursione diventa un viaggio interiore, un percorso di crescita personale che insegna a godere appieno di ogni istante, valorizzando l’essenza di un’attività tanto antica quanto rinnovatrice.

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Dalla FIE: Il ruolo della Medicina dello Sport nell’allenamento escursionistico: prevenzione e ottimizzazione delle performance

L’escursionismo, inteso non solo come attività ricreativa ma come vera e propria disciplina sportiva, ha assunto negli ultimi anni un’importanza crescente sia tra gli appassionati della natura che tra coloro che cercano di mantenersi in forma e di migliorare la propria salute fisica e mentale. In questo contesto, la medicina dello sport gioca un ruolo fondamentale, fornendo strumenti e conoscenze che permettono di affrontare l’allenamento escursionistico in modo sicuro, efficace e personalizzato. Il presente articolo si propone di analizzare in maniera approfondita le sinergie tra la medicina dello sport e l’escursionismo, soffermandosi sui principali aspetti che vanno dalla prevenzione degli infortuni all’ottimizzazione delle performance, passando per il supporto nutrizionale, il recupero e l’utilizzo delle tecnologie innovative.

1. Introduzione e contesto: l’evoluzione dell’escursionismo come disciplina sportiva

Negli ultimi decenni, l’escursionismo ha conosciuto una trasformazione significativa: da semplice passeggiata in montagna si è evoluto in una disciplina che richiede una preparazione fisica e psicologica adeguata. Questa evoluzione è stata favorita da una maggiore consapevolezza sui benefici dell’attività fisica e dalla diffusione di una cultura orientata al benessere integrato, che riconosce il valore del contatto con la natura non solo dal punto di vista ricreativo ma anche terapeutico.

La medicina dello sport, con la sua visione multidisciplinare, ha saputo rispondere alle esigenze di questa nuova generazione di escursionisti, integrando conoscenze provenienti da fisiologia, biomeccanica, nutrizione, psicologia e tecnologia. Tale approccio ha l’obiettivo di prevenire gli infortuni, migliorare le prestazioni e favorire un recupero ottimale, elementi imprescindibili per chi si avventura su sentieri spesso impegnativi e in ambienti a elevato stress fisico.

2. La medicina dello sport: un alleato imprescindibile nell’allenamento escursionistico

La medicina dello sport si occupa di studiare e ottimizzare le prestazioni fisiche attraverso l’applicazione di principi scientifici e metodologici specifici. In ambito escursionistico, questo significa predisporre programmi di allenamento che siano in grado di incrementare la resistenza, la forza e la flessibilità, riducendo al contempo il rischio di lesioni e affaticamento.

2.1 La valutazione iniziale: screening e analisi funzionale

Il primo passo per un allenamento escursionistico sicuro ed efficace consiste in una valutazione iniziale approfondita. Tale screening funzionale, eseguito da professionisti della medicina dello sport, include:

  • Analisi della storia clinica e degli infortuni pregressi: È essenziale raccogliere informazioni relative a eventuali problematiche muscoloscheletriche, cardiovascolari o altre condizioni mediche che potrebbero influenzare l’attività in montagna.
  • Valutazione della capacità aerobica e della resistenza: Test come il VO₂ max, la soglia anaerobica e il test del cammino possono fornire dati utili per personalizzare il piano di allenamento.
  • Analisi della postura e della biomeccanica del movimento: Attraverso osservazioni e test specifici, si individuano eventuali squilibri muscolari o anomalie posturali che potrebbero predisporre a infortuni durante l’escursionismo.
  • Screening nutrizionale e idratazione: Una corretta alimentazione e una giusta idratazione sono fondamentali per sostenere l’attività fisica in condizioni estreme.

Queste valutazioni permettono di creare un profilo individuale dell’escursionista, che diventa la base per un piano di allenamento mirato, in grado di massimizzare le prestazioni e minimizzare i rischi.

2.2 La personalizzazione dell’allenamento

Ogni escursionista possiede caratteristiche uniche, sia in termini di condizione fisica che di obiettivi personali. La medicina dello sport, grazie a protocolli di allenamento basati su evidenze scientifiche, permette di strutturare programmi personalizzati che combinano esercizi di resistenza, forza, flessibilità e coordinazione.

  • Esercizi di resistenza e cardiovascolari: Camminate a ritmo variabile, trekking in salita e sessioni di interval training sono fondamentali per migliorare la capacità aerobica e la resistenza muscolare.
  • Esercizi di forza: Lavorare sui muscoli delle gambe, del core e della parte superiore del corpo è essenziale per affrontare le pendenze e i terreni accidentati, riducendo il rischio di cadute e infortuni.
  • Esercizi di flessibilità e mobilità articolare: Lo stretching dinamico e statico aiuta a mantenere un range di movimento ottimale, prevenendo tensioni e stiramenti muscolari.
  • Allenamento dell’equilibrio e della coordinazione: Attività come il pilates o esercizi specifici con l’uso di balance board contribuiscono a migliorare la stabilità, riducendo il rischio di cadute e migliorando la tecnica di camminata.

L’integrazione di questi diversi aspetti, supportata da un monitoraggio costante e da feedback basati su dati oggettivi, consente di adattare l’allenamento alle esigenze specifiche di ogni escursionista, garantendo un progresso costante e sicuro.

3. Prevenzione degli infortuni: strategie e protocolli basati sulla scienza

Uno degli obiettivi principali della medicina dello sport in ambito escursionistico è la prevenzione degli infortuni. Gli infortuni, sebbene non sempre evitabili, possono essere ridotti significativamente attraverso l’adozione di misure preventive basate su una solida base scientifica.

3.1 Identificazione dei fattori di rischio

Tra i principali fattori di rischio in escursionismo troviamo:

  • Sovraccarico muscolare e articolare: Camminare su terreni irregolari e in pendenze elevate può comportare un eccessivo stress sulle articolazioni, in particolare su ginocchia e caviglie.
  • Squilibri muscolari e posturali: Differenze nella forza e nella flessibilità dei muscoli possono portare a compensi scorrette durante il movimento, aumentando il rischio di distorsioni o lesioni.
  • Condizioni ambientali avverse: Il freddo, l’alta quota e le variazioni climatiche rapide rappresentano ulteriori sfide che richiedono un adeguato supporto medico.
  • Errori tecnici e cattiva esecuzione degli esercizi: Senza una corretta tecnica, l’allenamento può trasformarsi in una fonte di infortuni anziché in un mezzo di miglioramento della performance.
3.2 Protocolli di prevenzione e strategie riabilitative

La medicina dello sport adotta una serie di protocolli preventivi e di strategie riabilitative volti a proteggere l’escursionista:

  • Programmi di allenamento bilanciati: Come già evidenziato, un mix equilibrato di esercizi di resistenza, forza e flessibilità riduce lo stress su specifici gruppi muscolari, prevenendo infortuni da sovraccarico.
  • Riscaldamento e defaticamento: Un’adeguata fase di riscaldamento prima dell’allenamento e una sessione di defaticamento al termine dell’attività aiutano a preparare il corpo allo sforzo e a facilitare il recupero post-attività. Tecniche di riscaldamento attivo, basate su movimenti dinamici e mirati, possono ridurre notevolmente il rischio di stiramenti e strappi muscolari.
  • Utilizzo di tecniche di fisioterapia preventiva: Interventi come il massaggio, la terapia con ultrasuoni e la crioterapia sono impiegati non solo per il recupero dopo un infortunio, ma anche come misura preventiva per mantenere la flessibilità e ridurre le tensioni muscolari.
  • Educazione tecnica e formazione: La corretta esecuzione degli esercizi e l’adozione di buone pratiche durante le escursioni sono fondamentali. I professionisti della medicina dello sport collaborano spesso con istruttori e preparatori atletici per fornire corsi e workshop che insegnano le tecniche corrette di camminata, equilibrio e gestione del carico.
3.3 Il ruolo della tecnologia nel monitoraggio della salute

L’integrazione di dispositivi wearable e applicazioni digitali ha rivoluzionato il monitoraggio della salute durante l’allenamento escursionistico. Strumenti come cardiofrequenzimetri, orologi GPS e sensori di movimento forniscono dati in tempo reale, consentendo un’analisi continua della risposta fisiologica dell’organismo.

  • Monitoraggio della frequenza cardiaca e della saturazione di ossigeno: Questi parametri permettono di individuare tempestivamente eventuali segni di affaticamento e di intervenire prima che si manifestino condizioni di stress eccessivo.
  • Analisi del carico di lavoro: L’utilizzo di software specifici consente di tracciare il volume e l’intensità dell’attività fisica, permettendo ai professionisti di regolare i programmi di allenamento in funzione delle esigenze individuali.
  • Feedback in tempo reale e personalizzazione del training: La raccolta continua di dati facilita la creazione di piani di allenamento dinamici e flessibili, che si adattano in tempo reale alle condizioni fisiche e ambientali, ottimizzando così la performance e la sicurezza.

4. Ottimizzazione delle performance: dal piano di allenamento alla nutrizione

Per massimizzare le performance nell’escursionismo, è fondamentale integrare l’allenamento fisico con altri aspetti chiave come la nutrizione e il recupero. La medicina dello sport adotta un approccio olistico, considerando l’organismo come un sistema integrato in cui ogni elemento è interdipendente.

4.1 L’importanza dell’alimentazione

La nutrizione gioca un ruolo cruciale nell’ottimizzazione delle performance, fornendo l’energia necessaria per sostenere sforzi prolungati e facilitando il recupero muscolare.

  • Macronutrienti e microelementi: Un’alimentazione bilanciata, che includa carboidrati complessi, proteine di alta qualità e grassi salutari, è essenziale per mantenere i livelli di energia durante l’attività fisica. Inoltre, vitamine e minerali come il magnesio, il potassio e il ferro sono fondamentali per il corretto funzionamento muscolare e la prevenzione degli infortuni.
  • Idratazione: L’idratazione è un aspetto spesso sottovalutato ma cruciale per la performance. Durante le escursioni, specialmente in ambienti ad alta quota o in condizioni di caldo, il corpo perde rapidamente liquidi ed elettroliti. La medicina dello sport consiglia strategie di idratazione personalizzate, che includono l’assunzione di soluzioni elettrolitiche e l’uso di integratori specifici per mantenere l’equilibrio idrico.
  • Tempistica dei pasti e integrazione: L’organizzazione dei pasti e degli spuntini prima, durante e dopo l’attività fisica può influire significativamente sulla performance. Un corretto timing nutrizionale aiuta a evitare cali di energia improvvisi e a facilitare il recupero muscolare. Integratori quali aminoacidi, vitamine e minerali possono essere utili, soprattutto in situazioni di sforzo prolungato.
4.2 Strategie di recupero e riabilitazione

Il recupero rappresenta un tassello fondamentale nel percorso di ottimizzazione delle performance. Un’efficace strategia di recupero non solo consente di ridurre i tempi di affaticamento, ma aiuta anche a prevenire infortuni da sovraccarico.

  • Recupero attivo: Camminate leggere, sessioni di stretching e esercizi di mobilità possono favorire il deflusso venoso e accelerare il processo di rigenerazione muscolare.
  • Tecniche di rilassamento e sonno: Il riposo di qualità è insostituibile. Strategie come la meditazione, il training autogeno e una routine serale ben definita aiutano a migliorare la qualità del sonno, essenziale per il recupero fisico e mentale.
  • Fisioterapia e interventi mirati: L’intervento tempestivo di fisioterapisti e specialisti in medicina dello sport, attraverso terapie manuali, esercizi correttivi e tecniche strumentali (come la laserterapia o gli ultrasuoni), può ridurre i tempi di recupero e prevenire recidive di infortuni.

5. Aspetti psicologici e motivazionali nell’allenamento escursionistico

Oltre agli aspetti strettamente fisici, la preparazione mentale rappresenta un elemento chiave per ottenere performance ottimali e per affrontare le sfide che l’escursionismo comporta. La medicina dello sport, in collaborazione con la psicologia dello sport, sottolinea l’importanza di un training mentale integrato.

  • Gestione dello stress e dell’ansia: La consapevolezza delle proprie capacità e l’adozione di tecniche di rilassamento possono ridurre l’ansia pre-escursione. Strategie di mindfulness, tecniche di visualizzazione e training della resilienza aiutano l’escursionista a mantenere la concentrazione e a reagire positivamente alle difficoltà.
  • Motivazione e obiettivi realistici: La definizione di obiettivi a breve e lungo termine, accompagnata da un piano di allenamento ben strutturato, può aumentare la motivazione e migliorare la percezione del progresso. La medicina dello sport incoraggia una comunicazione costante tra escursionista e professionisti, favorendo un feedback positivo e costruttivo.
  • Supporto psicologico in situazioni di infortunio: Affrontare un infortunio può essere psicologicamente impegnativo. Un supporto psicologico integrato, che prevede sessioni di counseling e tecniche di coping, aiuta a gestire lo stress emotivo e a mantenere alto il livello di motivazione durante il percorso riabilitativo.

6. Innovazioni tecnologiche e il futuro dell’allenamento escursionistico

Dispositivo weakable
Dispositivo weakable

L’evoluzione tecnologica ha aperto nuove frontiere nella gestione dell’allenamento e della prevenzione degli infortuni in escursionismo. L’integrazione di strumenti avanzati permette un monitoraggio costante e una personalizzazione sempre maggiore dei piani di allenamento.

6.1 Dispositivi wearable e applicazioni digitali
  • Cardiofrequenzimetri e smartwatch: Questi dispositivi forniscono dati in tempo reale su frequenza cardiaca, calorie bruciate, saturazione di ossigeno e altri parametri fisiologici, permettendo di regolare l’intensità dell’attività fisica.
  • Sensori di movimento e GPS: L’analisi dei movimenti e la localizzazione geografica offrono informazioni preziose sul carico di lavoro e sulle caratteristiche del percorso, consentendo di adattare la strategia di allenamento in base alle condizioni ambientali e alle esigenze individuali.
  • Piattaforme di analisi dati: Software dedicati permettono di raccogliere, analizzare e interpretare le informazioni raccolte dai dispositivi wearable, offrendo un feedback dettagliato e suggerimenti personalizzati per migliorare la performance.
6.2 Nuove frontiere della medicina dello sport

Le ricerche in ambito medico continuano a spingere oltre i confini della conoscenza, portando innovazioni che hanno un impatto diretto sull’allenamento escursionistico:

  • Terapie rigenerative: L’utilizzo di tecniche avanzate come la terapia con cellule staminali, la PRP (plasma ricco di piastrine) e le terapie a base di onde d’urto stanno emergendo come possibili soluzioni per accelerare il recupero da infortuni e ridurre l’infiammazione muscolare.
  • Monitoraggio genetico e personalizzazione del training: L’analisi del profilo genetico può fornire indicazioni preziose su come il corpo risponde a specifici stimoli di allenamento, aprendo la strada a programmi personalizzati ancora più mirati ed efficaci.
  • Realtà aumentata e virtuale: Queste tecnologie stanno iniziando a essere sperimentate per creare ambienti di allenamento immersivi e controllati, in cui l’escursionista può simulare situazioni reali e apprendere tecniche corrette in un contesto sicuro.

7. L’integrazione tra scienza e pratica: un approccio multidisciplinare

L’evoluzione dell’escursionismo, sempre più orientata verso una disciplina sportiva ad alta specializzazione, richiede un approccio multidisciplinare che integri scienza, tecnologia e pratica quotidiana. La collaborazione tra medici, fisioterapisti, nutrizionisti, preparatori atletici e psicologi dello sport permette di offrire all’escursionista un supporto completo e personalizzato.

Questa sinergia multidisciplinare consente di:

  • Individuare tempestivamente eventuali problematiche e intervenire in maniera mirata.
  • Ottimizzare i protocolli di allenamento e di recupero, adattandoli alle caratteristiche individuali e alle condizioni ambientali.
  • Sviluppare programmi di prevenzione che riducano in modo significativo il rischio di infortuni, migliorando al contempo le performance e la qualità dell’esperienza escursionistica.

8. Caso pratico: un percorso di allenamento guidato dalla medicina dello sport

Per illustrare concretamente come la medicina dello sport possa essere integrata nell’allenamento escursionistico, consideriamo il percorso di un ipotetico escursionista, Marco, che decide di affrontare una serie di trekking impegnativi nelle Alpi italiane.

8.1 Fase di valutazione e definizione degli obiettivi

Marco si sottopone ad uno screening funzionale che comprende test di resistenza, analisi della postura e valutazione nutrizionale. I dati raccolti evidenziano alcune debolezze muscolari nelle gambe e un leggero squilibrio posturale, oltre ad una predisposizione al sovraccarico articolare durante le salite ripide. In base a questi risultati, il team medico suggerisce di impostare un piano di allenamento che preveda:

  • Incremento graduale della resistenza attraverso sessioni di cammino a ritmo variabile e trekking in salita.
  • Esercizi di rafforzamento mirati per i muscoli delle gambe e del core, con particolare attenzione alla stabilizzazione delle articolazioni.
  • Sessioni di stretching e mobilità articolare per correggere gli squilibri posturali.
8.2 Implementazione del piano di allenamento e monitoraggio continuo

Durante le settimane successive, Marco segue un programma personalizzato che include:

  • Sessioni di allenamento aerobico e di resistenza: Percorsi a intensità moderata alternati a sessioni di interval training, con monitoraggio costante della frequenza cardiaca tramite un dispositivo wearable.
  • Esercizi di forza e coordinazione: Allenamenti specifici in palestra e a corpo libero, focalizzati sul rafforzamento dei muscoli stabilizzatori e sull’equilibrio.
  • Interventi nutrizionali: Consulenze periodiche con un nutrizionista sportivo, finalizzate ad ottimizzare l’apporto energetico e a garantire una corretta idratazione durante le uscite in montagna.
  • Feedback e adattamento del programma: Grazie a piattaforme digitali, Marco e il suo team possono analizzare i dati raccolti durante gli allenamenti, apportando modifiche tempestive per evitare il sovraccarico e prevenire eventuali infortuni.
8.3 Risultati e benefici a lungo termine

Dopo alcuni mesi di allenamento guidato dalla medicina dello sport, Marco registra miglioramenti significativi nelle performance: maggiore resistenza, minore affaticamento e una riduzione sostanziale degli episodi di dolore muscolare. Inoltre, il monitoraggio costante ha permesso di identificare in tempo reale eventuali segnali di affaticamento, consentendo interventi preventivi e una gestione ottimale del recupero.

9. Conclusioni e prospettive future

L’applicazione dei principi della medicina dello sport all’allenamento escursionistico rappresenta un’evoluzione fondamentale per garantire non solo un incremento delle performance, ma soprattutto un approccio sicuro e sostenibile alla pratica. La prevenzione degli infortuni, attraverso una valutazione iniziale accurata e l’adozione di protocolli personalizzati, si unisce alla ricerca dell’ottimizzazione delle performance, creando un circolo virtuoso in cui ogni componente dell’allenamento è pensata per migliorare la qualità della pratica sportiva.

L’integrazione di tecnologie innovative, la personalizzazione dei programmi di allenamento e la sinergia tra diversi specialisti permettono di affrontare l’escursionismo con una consapevolezza scientifica che, pur mantenendo un tono accessibile e amichevole, si fonda su solide basi di evidenza e ricerca. In questo contesto, il futuro appare ricco di possibilità: l’evoluzione delle terapie rigenerative, il monitoraggio genetico e l’utilizzo di ambienti virtuali per l’allenamento sono solo alcune delle prospettive che promettono di rivoluzionare ulteriormente il modo di prepararsi per le sfide della montagna.

In conclusione, il ruolo della medicina dello sport nell’allenamento escursionistico è cruciale per chi desidera unire la passione per la natura alla ricerca della massima efficienza fisica e del benessere complessivo. Attraverso un approccio multidisciplinare, basato su una valutazione attenta, una pianificazione personalizzata e l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia, è possibile trasformare l’escursionismo in una disciplina che non solo arricchisce il corpo e la mente, ma diventa anche un esempio di come la scienza e la pratica possano collaborare per migliorare la qualità della vita.

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Dalla FIE: 55° Corso Accompagnatori FIE: un successo di formazione e collaborazione

Si è concluso con successo il 55° Corso Accompagnatori FIE, un’esperienza formativa arricchente con relatori e partecipanti d’eccezione, alcuni dei quali hanno brillantemente ricoperto entrambi i ruoli.

I laboratori pratici sono stati fondamentali per consolidare il gruppo e gettare le basi per nuove e importanti collaborazioni nel mondo dell’escursionismo pugliese, in particolare nella BAT e sui Monti Dauni. In queste aree, competenze e professionalità di alto livello hanno avuto l’opportunità di conoscere da vicino il mondo FIE e il suo impegno per l’accompagnamento sicuro dei gruppi.

L’esperienza presso il Casale Pacciano, gestito dall’Associazione Trekking Astrofili Bisceglie PHSIS, è stata particolarmente significativa. E ’stato svolto il laboratorio di Primo Soccorso Montano con la presenza del Sindaco. Con grande spirito collaborativo sono state gettate le basi per valorizzare le bellezze di questo territorio, ricco di storia millenaria con i suoi casali, dolmen, menhir e grotte nascoste nelle lame. L’idea di censire il Casale come rifugio FIE o punto di incontro potrebbe rendere questo territorio più fruibile a livello nazionale.

Durante il corso, è stato distribuito un prezioso Vademecum per il Primo Soccorso Montano Laico per Necessità, che raccoglie le situazioni più frequenti e le corrette procedure da seguire in attesa dei soccorsi.

Altrettanto stimolante è stato il laboratorio di Meteorologia, Geologia e Biodiversità, integrato nel Festival della Scienza di Foggia presso il Comune di Carlantino. L’eccezionale ambientazione e la possibilità di ascoltare professionisti di spicco sul campo hanno reso questa esperienza unica.

La Daunia ha molto da offrire, sia in termini di paesaggi naturali sia di associazioni che si stanno avvicinando con entusiasmo al mondo FIE.

Un ringraziamento speciale a tutti i partecipanti, ai relatori, all’Associazione Trekking Astrofili Bisceglie PHSIS, al Comune di Carlantino nella persona di Daniela Cafano e del Sindaco, ma anche a tutti coloro che hanno reso possibile questo straordinario corso.

Lo staff

  • Fernando Alemanno
    Direttore del corso e Delegato FIE Puglia
    presidente dell’associazione Speleo Trekking Liberamente Peregrinando del Salento”.
  • Giovanni Leo
    Tutor Responsabile del corso
    e socio dell’associazione” Apuliatrek di CastellanaGrotte“
  • Elisa Scrocco
    Segreteria del corso
    e socio dell’associazione “Gavi “di Lucera

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Dalla FIE: Muschio, licheni e funghi lungo i sentieri: piccole meraviglie da osservare da vicino

Muschio, licheni e funghi rappresentano un microcosmo di biodiversità che spesso passa inosservato sotto gli occhi degli escursionisti più distratti. Eppure, basta avvicinarsi un po’ di più al sottobosco, fermarsi qualche istante ad ammirare la corteccia di un albero, o sollevare con delicatezza una piccola pietra per scoprire un universo ricco di forme, colori e strategie di sopravvivenza sorprendenti. Questa moltitudine di organismi, tanto modesti in apparenza quanto fondamentali per l’equilibrio degli ecosistemi, costituisce un indicatore della salute dell’ambiente e un’occasione per chiunque desideri approfondire la conoscenza della natura in modo diretto e appassionante.

Osservare il muschio lungo i sentieri significa imbattersi in un tappeto verde o talvolta di un verde-giallo tenue, che spesso ricopre il terreno umido, le rocce o i tronchi. Non si tratta di un’unica specie, bensì di un insieme di gruppi vegetali non vascolari (briofite) che condividono esigenze di vita similari, come l’elevata umidità e la necessità di zone ombreggiate. In effetti, i muschi sono privi di radici vere e proprie: possiedono invece strutture chiamate rizoidi, che servono per ancorarsi al substrato piuttosto che per assorbire nutrienti in senso tradizionale. L’idratazione e le sostanze nutritive vengono assorbite direttamente dalle foglioline grazie alla pioggia, alla rugiada o all’umidità presente nell’aria. Per questa ragione, quando l’ambiente diventa secco, i muschi possono ridurre le loro attività vitali, entrando in una sorta di quiescenza. È sorprendente notare come, dopo il passaggio di un temporale o di una semplice pioggerella, tornino rapidamente al loro consueto aspetto morbido e rigoglioso.

I licheni, dal canto loro, rappresentano uno dei più affascinanti esempi di simbiosi presenti in natura. Non si tratta di semplici “macchie” grigie o verdastre sulle rocce, bensì del risultato dell’associazione tra un fungo e un organismo fotosintetico (un’alga o un cianobatterio). La parte fungina si occupa di fornire una struttura protettiva, in grado di trattenere l’umidità e di difendere il partner fotosintetico da condizioni climatiche avverse, mentre l’alga o il cianobatterio produce zuccheri tramite la fotosintesi, condividendoli con il fungo. È una relazione straordinariamente efficiente, tanto che i licheni riescono a colonizzare habitat estremi dove altre forme di vita avrebbero serie difficoltà a sopravvivere: rocce nude in alta montagna, suoli poveri di sostanze nutritive, persino pietre vicine a ghiacciai. Osservandoli lungo i sentieri, è interessante notare come i licheni possano assumere forme morfologiche molto diverse: dai “crostosi” aderenti saldamente al substrato, ai “fogliosi” che sembrano piccole lamine sovrapposte, fino agli esemplari “fruticosi”, che assumono forme più complesse e tridimensionali. La colorazione è un altro aspetto affascinante: dal grigio, al verde chiaro, all’arancione brillante, al giallo ocra. Alcuni licheni “indicatori” di inquinamento o di elevata qualità dell’aria offrono inoltre preziose informazioni sulla salubrità dell’ambiente. La loro presenza o assenza in un dato bosco, o in prossimità di un centro abitato, può rivelare dati significativi sulla concentrazione di sostanze nocive in atmosfera.

Passando ai funghi, chi cammina nel bosco è spesso attratto dalle specie più conosciute, come porcini, finferli o ovoli. Tuttavia, il mondo fungino è ben più vasto e articolato, comprendendo microrganismi di dimensioni microscopiche fino a funghi macroscopici dai colori sgargianti e dalle forme veramente insolite. Biologicamente, i funghi non sono né piante né animali, ma costituiscono un regno a sé stante, caratterizzato dall’assenza di clorofilla e dalla capacità di nutrirsi grazie a sostanze organiche già esistenti nell’ambiente. Molti funghi sono saprofiti: decompongono i residui vegetali e animali, svolgendo un ruolo fondamentale nel riciclo dei nutrienti. Altri intrattengono rapporti di simbiosi con le piante superiori, nello specifico con le radici degli alberi (il fenomeno della micorriza): in cambio di zuccheri prodotti dalla pianta, il fungo favorisce l’assorbimento di acqua e sali minerali dal suolo, incrementando così la salute e la crescita dell’albero stesso. Esistono anche funghi parassiti, che possono causare gravi malattie alle piante o ad altri organismi, e funghi che convivono con i licheni, come abbiamo visto in precedenza.

Nei boschi italiani, i funghi rivestono un’importanza storica e culturale non indifferente, tanto da avere un posto di rilievo nelle tradizioni gastronomiche di molte regioni. Tuttavia, va ricordato che l’attività di raccolta dovrebbe sempre essere svolta con estrema attenzione e consapevolezza. Ogni anno, si registrano incidenti o intossicazioni causate dall’imprudenza o dalla scarsa conoscenza micologica. Per l’escursionista più interessato all’aspetto naturalistico, invece, non è necessario raccogliere funghi: bastano una lente d’ingrandimento e un buon testo di riferimento per apprezzarne la struttura, i particolari colorati del cappello o le lamelle, l’anello e la volva, i filamenti miceliari che si allargano nel suolo. Un’osservazione attenta consente di scoprire un’incredibile varietà di forme riproduttive, dai corpi fruttiferi globosi alle numerose varietà di “mazze di tamburo”, dalle piccole coppe gelatinose ai rametti corallini di alcuni funghi lignicoli che adornano vecchi tronchi in decomposizione.

Entrando più a fondo nell’interazione ecologica, ci si accorge che muschi, licheni e funghi sono tutti e tre ottimi indicatori ambientali. I muschi, per la loro necessità di luoghi umidi e puliti, sono in grado di accumulare metalli pesanti o inquinanti atmosferici; i licheni, come accennato, sono tra i primi a patire le variazioni della qualità dell’aria a causa della loro estrema sensibilità a sostanze come l’anidride solforosa; i funghi, dal canto loro, risentono sia dell’acidificazione del suolo, sia della presenza di sostanze chimiche derivanti dall’agricoltura o dall’industria. Di conseguenza, un bosco ricco di queste tre categorie di organismi è generalmente un bosco in buona salute, con un suolo bilanciato e un microclima idoneo a sostenere l’intera catena alimentare. Allo stesso modo, un loro impoverimento o la comparsa di specie alloctone invasive possono rappresentare un campanello d’allarme per un ecosistema sotto stress.

Dal punto di vista dell’esperienza escursionistica, la scoperta di questi organismi può trasformare una semplice passeggiata in un’avventura scientifica. È sufficiente rallentare il passo e orientare lo sguardo verso i dettagli: il manto muschioso che avvolge un sasso vicino a un ruscelletto, la macchia colorata di licheni che decora la corteccia di un faggio centenario, o ancora la sagoma di un fungo che spunta dal tappeto di foglie morte all’ombra di un abete. Ciò che inizialmente sembra ripetitivo e monotono, con un po’ di osservazione diventa vario e sorprendente: si notano sfumature di colori, si percepiscono differenze di consistenza al tatto, si individuano infinite nicchie ecologiche dove altre forme di vita (piccoli invertebrati, larve, insetti) trovano rifugio e nutrimento. Il tatto, infatti, è uno strumento importantissimo per la conoscenza: sfiorando le piccole foglioline di muschio si avverte la loro elasticità, e si comprende la capacità di trattenere l’acqua; sfiorando un lichene crostoso si percepisce invece una superficie ruvida, quasi calcarea, mentre un lichene fruticoso può apparire filiforme o ramificato, fragile al tatto se manca l’umidità necessaria.

Le stagioni giocano un ruolo fondamentale nell’osservazione di questi organismi. L’autunno è notoriamente la stagione d’oro per i funghi, soprattutto dopo le prime piogge e con temperature non ancora rigide. In questo periodo, molte specie fruttificano in maniera abbondante e regalano all’escursionista coloratissimi spettacoli tra il tappeto di foglie secche. I muschi, invece, riescono a mantenersi verdi in gran parte dell’anno, ma vivono momenti di rinascita intensa quando l’umidità aumenta, che sia in primavera o in autunno, o persino nei periodi piovosi dell’estate. I licheni non hanno una vera e propria stagione prediletta: la loro vita è molto lenta e soggetta principalmente alla disponibilità di acqua. Alcune specie possono vivere decenni o addirittura secoli, crescendo di pochi millimetri l’anno. Questo ritmo rallentato li rende dei veri e propri archivi biologici, capaci di “raccontare” i cambiamenti climatici e ambientali che si susseguono nel corso del tempo.

Un consiglio per chi voglia approfondire lo studio sul campo consiste nel munirsi di una piccola guida tascabile dedicata alle briofite, ai licheni e ai funghi comuni delle regioni che si intende visitare. Esistono ottimi testi e app per smartphone in grado di fornire una prima identificazione delle specie sulla base di fotografie e di alcune caratteristiche distintive. Tuttavia, va sempre ricordato che un riconoscimento certo, soprattutto per i funghi, richiede spesso l’analisi di dettagli morfologici non visibili a occhio nudo, e in certi casi persino l’uso di strumentazioni da laboratorio. Per quanto riguarda i muschi e i licheni, la distinzione tra specie simili può risultare ancora più complessa, dal momento che i caratteri differenzianti si situano in organi microscopici o nella struttura dell’apparato riproduttivo. Questo non deve, però, scoraggiare l’interesse dell’appassionato. Anche senza arrivare a identificazioni precise, è possibile sviluppare un approccio “naturalistico” che favorisca la meraviglia, la curiosità e il rispetto per questi organismi. Ogni osservazione, ogni fotografia o annotazione diventa un tassello per comprendere meglio l’equilibrio della vita nel bosco.

Dal punto di vista della conservazione, occorre sottolineare che muschi e licheni, essendo di crescita molto lenta, sono particolarmente vulnerabili al calpestio e all’impatto antropico. Se ci si imbatte in un tappeto di muschio, è preferibile rimanere sul sentiero tracciato, evitando di schiacciarlo o di prelevarne porzioni per scopi ornamentali o curiosità personale. I licheni, similmente, impiegano anni per sviluppare la morfologia che vediamo a occhio nudo; staccarne frammenti dalle rocce o dai tronchi significa infliggere un grave danno all’ecosistema, che ci mette molto tempo a rigenerarsi. Nel caso dei funghi, infine, prelevare esemplari fuori dai limiti consentiti o senza conoscenza di base può rivelarsi non solo dannoso per l’ambiente, ma anche potenzialmente pericoloso per la salute umana. È sempre consigliabile documentarsi sulla normativa locale e, se si desidera raccogliere funghi per il consumo, seguire corsi autorizzati o affidarsi a esperti micologi, ricordando che i corpi fruttiferi sono soltanto la parte esterna di un vasto reticolo di ife che si estende nel terreno e instaura relazioni cruciali con il resto della comunità biologica.

Per chi ama la fotografia, muschi, licheni e funghi costituiscono soggetti ricchi di fascino. Le dimensioni ridotte e i particolari minuti invitano all’uso di macroobiettivi e di tecniche che valorizzano i contrasti di colore e texture. Scattare una foto a un gruppo di funghi bianchi avvolti da un tappeto di muschio verde brillante, oppure immortalare il tenue riflesso di un lichene aranciato su una roccia umida, può dare risultati di grande impatto estetico. Inoltre, dall’analisi delle fotografie si possono successivamente scoprire dettagli invisibili a occhio nudo durante l’escursione, come piccolissime spore, forme geometriche dei talli lichenici o goccioline di acqua intrappolate tra le ife fungine. Documentare con cura e sistematicità l’avvistamento di queste piccole meraviglie può anche trasformarsi in una forma di citizen science: inviando le proprie osservazioni a enti di ricerca o a progetti di mappatura del territorio, si contribuisce alla conoscenza collettiva dello stato di salute degli ecosistemi.

Ecco che, alla luce di tutte queste considerazioni, si comprende come muschio, licheni e funghi non siano semplici organismi “secondari” nei boschi o lungo i sentieri, bensì veri protagonisti di un intricato mosaico di relazioni e processi ecologici. La loro osservazione diretta consente di andare oltre il paesaggio d’insieme, immergendosi nella piccola scala della biodiversità, dove spesso si celano i segreti più antichi ed evolutivamente affascinanti. Saper riconoscere anche solo i gruppi più comuni, rispettarne l’habitat e coglierne la straordinaria capacità di adattamento diventa un modo per avvicinarsi in maniera consapevole alla natura, comprendendo che la bellezza del bosco sta sia nei suoi panorami imponenti, sia nei dettagli minuscoli che ne impreziosiscono il sottobosco. L’esperienza dell’escursionista, quindi, si arricchisce di un nuovo livello di profondità: dal sentiero più battuto fino alle zone meno frequentate, basta un occhio attento per ritrovare, nel manto muschioso e nelle forme imprevedibili dei licheni e dei funghi, le tracce viventi di un’evoluzione millenaria. Il contatto diretto con questi organismi ci ricorda che la natura non è solo un palcoscenico su cui muoverci, ma un insieme interconnesso di vite che cooperano e competono, si sostengono e si trasformano in un continuo ciclo di nascita, crescita, decomposizione e rinascita. In definitiva, è proprio questa consapevolezza a rendere l’escursione un’esperienza non soltanto fisica, ma anche intellettuale ed emotiva, stimolando curiosità e meraviglia di fronte alle sfumature infinite della vita.

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Dalla FIE: Cos’è il cambiamento climatico? Le basi per comprendere un fenomeno globale

Di fronte all’umanità si staglia un fenomeno tanto complesso quanto imprescindibile da comprendere a fondo: il cambiamento climatico. Si tratta di un processo di alterazione delle condizioni medie del clima terrestre, il cui impatto si estende ben oltre le mere variazioni meteorologiche quotidiane. Alla base, si assiste a un accumulo di gas serra nell’atmosfera, in particolare anidride carbonica, metano e ossidi di azoto, i cui livelli sono cresciuti drasticamente a partire dalla rivoluzione industriale. Questi gas trattengono il calore solare, provocando un graduale aumento della temperatura globale, fenomeno che ha conseguenze dirette e indirette su ecosistemi, biodiversità, risorse idriche, agricoltura e salute umana. L’analisi di questo fenomeno ci porta a considerare non solo le cause naturali e cicliche che da sempre hanno caratterizzato il clima terrestre, ma soprattutto l’impatto delle attività antropiche, come la combustione di combustibili fossili, la deforestazione e l’urbanizzazione crescente, che hanno modificato il delicato equilibrio del sistema climatico.

Il riscaldamento globale, infatti, non è un concetto astratto: si traduce in un incremento delle temperature medie, una maggiore frequenza di eventi estremi e una progressiva destabilizzazione degli ecosistemi. I ghiacciai si ritirano, il livello dei mari si innalza, e le stagioni, una volta ben definite, diventano sempre più incerte. Questi mutamenti creano un circolo vizioso che incide sulla disponibilità di acqua dolce, alterando i cicli naturali e mettendo in crisi intere comunità. Il cambiamento climatico, pertanto, non è solo un tema ambientale, ma anche socio-economico, in quanto determina la migrazione di popolazioni, l’insorgere di conflitti per le risorse e una generale instabilità che interessa l’intero pianeta.

Comprendere il cambiamento climatico richiede un approccio multidisciplinare, in cui scienza, tecnologia e politiche pubbliche si intrecciano per fornire spiegazioni e soluzioni concrete. Le ricerche scientifiche, basate su dati storici e modelli previsionali, ci permettono di identificare trend preoccupanti: si osserva infatti come il riscaldamento globale abbia accelerato fenomeni naturali come l’innalzamento del livello del mare, con conseguenze devastanti per le aree costiere, e come le anomalie termiche influenzino i regimi pluviometrici, portando a periodi di siccità prolungata o a precipitazioni intense e improvvise. La fusione di dati satellitari, rilevazioni in situ e modelli matematici consente di elaborare scenari futuri che, seppur incerti, indicano la necessità di interventi tempestivi per mitigare le conseguenze più gravi di questo fenomeno.

Un aspetto fondamentale per comprendere il cambiamento climatico riguarda il concetto di gas serra. Questi composti, pur essendo presenti naturalmente nell’atmosfera, vedono il loro effetto amplificato dall’attività umana. Il meccanismo del “effetto serra” è un processo per cui la radiazione solare viene parzialmente trattenuta, riscaldando l’atmosfera e la superficie terrestre. Questo fenomeno, che in condizioni naturali garantiva il mantenimento di temperature idonee alla vita, oggi si trasforma in un problema quando le concentrazioni di gas serra superano livelli critici, creando uno squilibrio energetico nel sistema Terra. La comprensione di questi meccanismi è essenziale non solo per la comunità scientifica, ma anche per cittadini e responsabili delle politiche ambientali, i quali devono fare scelte informate per limitare l’impatto delle proprie azioni sull’ambiente.

Parallelamente all’analisi dei processi fisici e chimici, è importante esaminare le implicazioni sociali ed economiche del cambiamento climatico. Le attività produttive, l’agricoltura e il settore energetico sono chiamati a ripensare modelli di sviluppo tradizionali per adeguarsi a una realtà in rapido mutamento. La transizione verso fonti di energia rinnovabile, l’adozione di pratiche di economia circolare e il sostegno a tecnologie innovative rappresentano elementi chiave in un percorso di adattamento e mitigazione. Tali strategie non solo mirano a ridurre le emissioni di gas serra, ma anche a creare nuove opportunità di lavoro e a stimolare un’economia più resiliente e sostenibile. L’adozione di politiche ambientali integrate, che coniughino esigenze di sviluppo economico e protezione ambientale, è una delle sfide più pressanti del nostro tempo.

Il dialogo internazionale ha assunto un ruolo centrale nel coordinamento delle azioni contro il cambiamento climatico. Accordi globali come il Protocollo di Kyoto e l’Accordo di Parigi hanno rappresentato tappe fondamentali nel tentativo di ridurre le emissioni e di promuovere una maggiore collaborazione tra le nazioni. Questi trattati, pur presentando criticità e divergenze nei meccanismi di attuazione, hanno stimolato la nascita di una coscienza collettiva volta a riconoscere l’urgenza della crisi climatica e a mobilitare risorse e conoscenze per affrontarla. La partecipazione attiva della società civile, unita a un impegno costante da parte degli enti governativi, è indispensabile per tradurre in azioni concrete le ambizioni espresse dagli accordi internazionali.

Le conseguenze del cambiamento climatico si manifestano in maniera tangibile a livello locale e globale, influenzando il ciclo dell’acqua, la qualità dell’aria e la salute pubblica. Le comunità che vivono in aree vulnerabili, come le zone costiere o quelle caratterizzate da risorse idriche limitate, sono particolarmente esposte ai rischi derivanti da eventi estremi. Inoltre, il fenomeno comporta un aumento delle malattie correlate all’inquinamento atmosferico e alla proliferazione di vettori trasmittenti patogeni, come le zanzare, in aree precedentemente meno interessate da tali problematiche. In questo contesto, l’educazione ambientale e la diffusione di informazioni accurate diventano strumenti fondamentali per preparare e proteggere la popolazione, promuovendo una cultura della prevenzione e della responsabilità collettiva.

Un’altra dimensione cruciale riguarda l’impatto del cambiamento climatico sugli ecosistemi naturali. La biodiversità, elemento essenziale per la stabilità degli ambienti, è messa a dura prova dalla rapida alterazione delle condizioni climatiche. Specie animali e vegetali si trovano costrette ad adattarsi a nuovi habitat o, in molti casi, rischiano di estinguersi, compromettendo l’equilibrio naturale. Questa perdita di biodiversità, a sua volta, incide sulla capacità degli ecosistemi di fornire servizi fondamentali, come la purificazione dell’aria e dell’acqua, il ciclo dei nutrienti e la regolazione del clima. È quindi evidente come la protezione dell’ambiente naturale non possa prescindere da politiche che mirino a ridurre l’impatto delle attività umane e a favorire il recupero e la conservazione delle risorse naturali.

Nonostante le sfide imposte dal cambiamento climatico siano immensi, esse rappresentano anche un’opportunità per ripensare il nostro rapporto con la natura e con il pianeta. L’innovazione tecnologica, la ricerca scientifica e la volontà politica possono confluire per creare un modello di sviluppo che sia al contempo sostenibile e inclusivo. Investire in infrastrutture resilienti, promuovere l’adozione di pratiche agricole sostenibili e favorire una maggiore efficienza energetica sono solo alcuni degli approcci che si stanno delineando per contrastare gli effetti del riscaldamento globale. La sfida è ambiziosa, ma non priva di speranza: ogni azione, per quanto piccola possa sembrare, contribuisce a un cambiamento positivo e a un futuro in cui l’uomo e la natura possano convivere in armonia.

In conclusione, il cambiamento climatico rappresenta un fenomeno globale che sfida le nostre capacità di adattamento e di innovazione. Comprendere le basi di questo processo significa non solo acquisire conoscenze scientifiche, ma anche riconoscere la responsabilità che ciascuno di noi ha nel plasmare il futuro del pianeta. È un invito a guardare al mondo con occhi nuovi, a riscoprire la bellezza e la fragilità degli ecosistemi e a intraprendere un percorso di azioni consapevoli e condivise, capaci di garantire una convivenza sostenibile tra sviluppo umano e tutela ambientale. In un’epoca in cui la scienza ci offre strumenti preziosi per interpretare i segnali del cambiamento, è fondamentale tradurre la conoscenza in azione, affinché le sfide di oggi possano trasformarsi nelle opportunità di domani.

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Dalla FIE: Escursionismo Platonico (Platonismo)

Introduzione: Idea, cammino, elevazione

L’escursionismo platonico nasce dal tentativo di tradurre gli assunti cardine del platonismo – la ricerca delle Idee pure, la distinzione tra realtà sensibile e intellegibile, la tensione dialettica tra apparenza e verità – in una pratica del camminare. Se nel pensiero di Platone la meta ultima è la contemplazione del Bene e delle Forme perfette, nella variante escursionistica questo si traduce nella ricerca di un “sentiero ideale”. Il camminatore platonico non si accontenta del semplice giro panoramico: vuole trascendere l’apparenza del bosco, del prato, della montagna, per arrivare a cogliere l’essenza immutabile che sta dietro alle forme cangianti della natura.

L’immagine chiave è quella di un itinerario che si snoda tra due dimensioni: da un lato il paesaggio concreto, con i suoi profumi, i suoni, i colori effimeri; dall’altro, la dimensione archetipica, in cui l’escursione diventa metafora della salita dell’anima verso una comprensione superiore. Chi pratica l’escursionismo platonico è un viandante-filosofo, che non cerca solo l’esperienza sensoriale, ma la usa come trampolino per lanciarsi nel mondo delle Idee.

Platonismo in pillole: il mondo delle Idee e il mondo sensibile

Testa ritraente Platone, rinvenuta nel 1925 nell’area sacra del Largo Argentina a Roma e conservata ai Musei Capitolini. Copia antica di opera creata da Silanion. L’originale, commissionato da Mitridate subito dopo la morte di Platone, fu dedicato alle Muse e collocato nell’Accademia platonica di Atene

Un breve ripasso: il platonismo si fonda sulla distinzione tra due livelli di realtà. Il primo è quello sensibile, mutevole, accessibile ai sensi, ma ingannatore. Il secondo è quello intellegibile, stabile, eterno, accessibile solo alla ragione. Nel mondo intellegibile risiedono le Forme o Idee: modelli perfetti e immutabili di cui le cose del mondo sensibile sono copie imperfette.

Applicando questa teoria all’escursionismo, potremmo dire che la foresta, la vallata, la vetta innevata che vediamo con i nostri occhi non sono che rappresentazioni imperfette di un “paesaggio ideale”. L’escursionista platonico, pur godendo del panorama, sa che dietro a quelle forme c’è un’Idea di Montagna, di Bosco, di Fiume, di Prato: una verità più profonda, invisibile, ma più reale. La sua camminata è un tentativo di avvicinarsi a questa Idea, di intuirne la forma pura, non corrotta dal divenire.

L’allegoria della caverna applicata all’escursionismo

Nella famosa allegoria della caverna, Platone descrive un gruppo di uomini incatenati che vedono solo ombre proiettate sulla parete. Uno di loro si libera, esce dalla caverna, scopre la luce del sole e la vera natura delle cose. L’escursionismo platonico può essere letto come una metafora simile: l’uomo comune, immerso nella quotidianità, vede solo le “ombre” della natura: paesaggi belli ma effimeri, condizionati dall’umore, dalla luce del giorno, dal meteo. L’escursionista platonico, invece, è colui che abbandona la caverna dell’apparenza.

Cosa significa, in pratica, “uscire dalla caverna” mentre si cammina nella natura? Vuol dire non fermarsi all’impressione superficiale di un panorama: la bellezza di un lago incastonato tra le montagne non è soltanto un insieme di forme e colori che colpiscono la retina; è anche un simbolo, una traccia visibile di un principio armonico più alto. Quando l’escursionista platonico contempla il paesaggio, cerca di coglierne l’essenza, la struttura ideale, la logica interna che lo rende coerente e significativo. In altre parole, la natura diventa un ponte verso il mondo delle Idee: la cascata non è solo acqua che cade, ma l’immagine sensibile di una “Idea di flusso” o di bellezza dinamica; la foresta non è solo un groviglio di alberi, ma il riflesso di un ordine superiore, in cui ogni pianta incarna la propria forma ideale.

L’esperienza dell’escursionismo platonico: pratica e dimensione interiore

Come si traduce tutto ciò in un’esperienza pratica? Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’escursionismo platonico non richiede un approccio snob o elitario. Non si tratta di rifiutare la sensorialità, anzi: per Platone, i sensi non vanno disprezzati, ma interpretati. Il corpo e i sensi sono strumenti, non ostacoli. Il segreto sta nell’usare la percezione per andare oltre il dato sensibile.

L’escursionista platonico:

  • Pianifica il percorso non solo in base alla difficoltà o alla fama della meta, ma cercando itinerari che suggeriscano un certo ordine, una certa armonia. Un sentiero che gradualmente sale, offrendo scorci sempre più ampi, può ricordare la progressione dell’anima verso la comprensione.
  • Durante la camminata, osserva con attenzione i particolari: le venature delle foglie, la disposizione dei sassi sul sentiero, l’inclinazione dei raggi del sole. Ogni dettaglio può essere letto come un segno, una lettera di un alfabeto cosmico che rimanda a una verità più grande.
  • Fa pause di contemplazione: non si limita a camminare con il solo scopo di “arrivare in vetta”, ma sosta, ascolta il silenzio, lascia che la mente si svuoti delle distrazioni per accogliere un’intuizione più profonda.
  • Integra l’esperienza sensoriale con la riflessione. Magari alla fine della giornata, seduto su un masso o su un prato, l’escursionista platonico rielabora mentalmente quanto vissuto, cercando di estrarre un “significato” dall’esperienza. Se l’escursionismo epicureo invita al godimento del momento presente e quello stoico alla resistenza, quello platonico punta alla comprensione dell’essenza, al riconoscimento di un ordine ideale.

Le virtù del camminatore platonico: la ragione come guida

Platone assegna alla ragione, all’intelletto, un ruolo guida. Nella Repubblica descrive l’anima come un carro trainato da due cavalli: uno rappresenta le passioni e i desideri bassi, l’altro l’ardore nobile, e il cocchiere è la ragione, che deve mantenere l’equilibrio. Nell’escursionismo platonico la ragione è la bussola interiore: non si limita a scegliere il percorso più logico, ma orienta il camminatore verso una lettura profonda dell’esperienza.

Questa “ragione escursionistica” non è fredda analisi, ma una forma di intelletto sensibile al bello e al giusto. È una luce interiore che permette all’escursionista di non perdersi nelle apparenze, di non farsi travolgere dai dettagli insignificanti, ma di cogliere l’insieme armonico. Non è un caso che Platone metta al vertice della sua gerarchia ontologica l’Idea del Bene: l’escursionismo platonico, in fondo, cerca un bene intellettuale, una forma di bellezza pura. Il bello, il vero e il bene, nella prospettiva platonica, coincidono: un paesaggio armonioso non è solo piacevole da vedere, è anche un segno di un ordine buono e vero, un riflesso di un principio universale.

Il “sentiero ideale”: dal concreto all’archetipo

L’archetipo del sentiero perfetto, nella mente dell’escursionista platonico, esiste da qualche parte nel mondo delle Idee. Nessun sentiero concreto lo eguaglierà mai in perfezione, ma alcuni potranno avvicinarsi più di altri. Quali caratteristiche dovrebbe avere questo sentiero ideale?

  • Armonia nel dislivello: la salita non dovrebbe essere né troppo ripida né troppo monotona, ma giustamente calibrata, quasi a suggerire una progressione graduale della conoscenza.
  • Equilibrio tra luce e ombra: non un’esposizione brutale e costante al sole, né un’ombra perenne. Il passaggio alternato tra zone luminose e penombre richiama la dialettica tra ignoranza e sapienza, tra il conosciuto e il non conosciuto.
  • Varietà nella continuità: il paesaggio varia, ma non in modo caotico. Vi è una progressione che conduce da luoghi più semplici a panorami più complessi e vasti, come se ogni tratto del cammino offrisse un gradino nella scala dell’intellegibile.
  • Presenza di elementi simbolici: una fonte d’acqua pura potrebbe rappresentare la chiarezza dell’intelletto, una roccia dalle forme geometriche la presenza di un ordine immanente, un albero solitario in cima a una radura il segno di una meta raggiungibile.

Ovviamente, nessun sentiero reale rispecchierà perfettamente questo ideale. Tuttavia, l’escursionista platonico non si scoraggia: sa che il mondo sensibile è solo un’imitazione, e accetta la sfida di cogliere, tra le imperfezioni, le tracce dell’ordine superiore.

Il ruolo della contemplazione e del dialogo

Platone era un filosofo del dialogo. Le sue opere sono scritte in forma di dialogo, e la conoscenza si raggiunge attraverso il confronto dialettico. Anche l’escursionismo platonico può includere un aspetto dialogico: i compagni di cammino non sono solo “colleghi” di escursione, ma interlocutori filosofici con cui commentare il paesaggio, riflettere sulla sua essenza, porre domande sul significato del viaggio.

In questo senso, una passeggiata platonica non è mai soltanto un monologo interiore: è un percorso comune verso l’intellegibile, una piccola Accademia itinerante. Ci si ferma a ragionare sull’idea di bosco: cos’è l’essenza del bosco? È solo un insieme di alberi o c’è una forma, un concetto di “boschetto ideale” che trascende gli esemplari particolari? Ci si chiede se la bellezza della montagna sia oggettiva o soggettiva, se esista un’Idea di Bellezza assoluta.

Questo approccio all’escursionismo, ben lontano dalla superficialità, trasforma il camminare in una vera e propria pratica filosofica, dove l’atto fisico del procedere diventa metafora del procedere dell’anima verso il sapere.

Benefici e limiti dell’escursionismo platonico

Quali sono i benefici di un simile approccio?

  • Profondità dell’esperienza: La natura non è più solo un contesto piacevole o un allenamento fisico, ma un mondo carico di significati da esplorare.
  • Crescita interiore: Sforzandosi di cogliere l’essenza dietro le apparenze, l’escursionista si esercita alla riflessione, all’attenzione, alla concentrazione.
  • Armonizzazione sensi-ragione: Non si tratta di negare i sensi, ma di utilizzarli come punto di partenza per un volo più alto della mente.

Tuttavia, ci sono anche dei limiti da considerare:

  • Astrazione eccessiva: Un eccesso di idealismo può distaccare eccessivamente dal qui e ora, rischiando di far perdere la gioia della semplice osservazione. Alla fine, anche Platone riconosceva l’importanza della mediazione tra sensibile e intellegibile.
  • Difficoltà comunicativa: Non tutti i compagni di escursione saranno disposti a intraprendere lunghe disquisizioni sulla natura dell’Idea di montagna. È necessario un contesto adatto e interlocutori interessati.

Conclusione: la natura come dialettica tra apparenza e Idea

L’escursionismo platonico invita a considerare il mondo naturale come una soglia: dietro l’apparenza c’è una realtà più alta, dietro la varietà sensibile c’è un ordine intellegibile. Camminare non è soltanto spostarsi nello spazio, ma avvicinarsi passo dopo passo a una comprensione più profonda. È un percorso di ascesa: dalle ombre del fondovalle, dove le forme sono confuse, alle vette illuminate, dove l’anima può intuire, anche solo per un istante, la perfetta Idea che sottende il creato.

In un’epoca spesso dominata dal consumo rapido di esperienze, l’escursionismo platonico offre una via diversa: un ritorno alla lentezza, alla contemplazione, alla ricerca del significato dietro l’apparenza. Non occorre essere filosofi professionisti per approcciarsi così alla montagna o al bosco; basta una certa disponibilità all’ascolto, una curiosità verso l’invisibile, la volontà di credere che ciò che vediamo non esaurisce ciò che esiste.

In definitiva, l’escursionismo platonico non è solo un modo di camminare nella natura, ma un modo di pensarla: come specchio imperfetto di una perfezione invisibile, come invito a salire la scala della conoscenza, come occasione di trasformare la passeggiata in esperienza intellettuale e spirituale, un passo alla volta.

[Immagine di copertina: L’Accademia di Platone, mosaico romano (Pompei)]

L’articolo Escursionismo Platonico (Platonismo) proviene da FIE Italia – Federazione Italiana Escursionismo.

Dalla FIE: Bruciare calorie camminando in salita: il trucco per mantenere la linea divertendosi

Camminare è da sempre uno degli sport più accessibili e salutari, ma quando l’itinerario prevede una salita, il percorso si trasforma in una vera e propria palestra naturale all’aperto. La Federazione Italiana Escursionismo è lieta di condividere con voi le evidenze scientifiche, i benefici e alcuni suggerimenti pratici per trarre il massimo vantaggio da questa attività, rendendo il cammino in salita non solo un’ottima strategia per bruciare calorie, ma anche un’esperienza piacevole e divertente. In questo articolo esploreremo come l’inclinazione del terreno, combinata con il ritmo del passo e l’ambientazione naturale, possa favorire il benessere fisico e mentale, contribuendo al mantenimento della linea in modo sostenibile e coinvolgente.

Il valore della camminata in salita

Quando ci si avventura in un percorso che prevede dislivelli, il corpo è costretto ad adattarsi a una sfida maggiore rispetto alla semplice camminata su terreno piano. L’effetto della gravità, infatti, rende ogni passo più impegnativo, attivando in maniera più intensa gruppi muscolari specifici, in particolare quelli delle gambe, dei glutei e del core. Studi recenti evidenziano come l’attività fisica in pendenza comporti un aumento significativo del dispendio energetico: il corpo brucia più calorie per compensare lo sforzo richiesto, favorendo la perdita di grasso e il miglioramento della resistenza cardiovascolare. Questa attività, se praticata regolarmente, si traduce in una maggiore efficienza metabolica e in una migliore capacità di utilizzo dell’energia, con effetti positivi sia sul benessere fisico che su quello psicologico.

Benefici fisiologici e psicologici

La camminata in salita offre benefici molteplici. Dal punto di vista fisiologico, la resistenza muscolare viene notevolmente migliorata grazie all’impegno costante di gruppi muscolari importanti. L’aumento della frequenza cardiaca durante l’ascensione stimola il sistema cardiovascolare, contribuendo a ridurre il rischio di patologie cardiache e a migliorare la circolazione sanguigna. In parallelo, il lavoro intenso dei muscoli favorisce la sintesi proteica e l’ossidazione dei grassi, rendendo la salita un vero e proprio “allenamento completo” che, se abbinato a una dieta equilibrata, può aiutare a mantenere la linea in modo efficace e duraturo.

Dal punto di vista psicologico, l’esperienza di una camminata in montagna o in collina permette di staccare la mente dalle sollecitazioni quotidiane, offrendo momenti di riflessione e rilassamento. La connessione con la natura e l’aria aperta ha infatti dimostrato di ridurre i livelli di stress e migliorare l’umore. L’esercizio fisico, inoltre, rilascia endorfine, le cosiddette “molecole della felicità”, che migliorano il senso di benessere e favoriscono una maggiore resilienza emotiva. Questo connubio tra salute fisica e mentale rende la camminata in salita un’attività ideale per chi desidera prendersi cura di sé in modo olistico.

L’aspetto scientifico: come si bruciano le calorie in salita

Il meccanismo che porta al maggior dispendio calorico durante la salita è legato all’aumento del lavoro svolto dal sistema muscolare. Durante una camminata in piano, il corpo spende energia principalmente per mantenere l’equilibrio e per far avanzare le gambe. In salita, però, la forza di gravità agisce in direzione opposta al movimento, costringendo i muscoli a lavorare in maniera più intensa per sollevare il peso del corpo. Questo aumento del lavoro muscolare determina un incremento del consumo di ossigeno, con conseguente maggiore produzione di energia e quindi un maggiore utilizzo delle riserve di grasso corporeo. Le ricerche in ambito fisiologico confermano che, per una durata e un’intensità comparabili, il camminare in salita porta a un consumo di calorie superiore rispetto alla camminata su terreno pianeggiante.

Inoltre, la variabilità dei ritmi e degli sforzi in un percorso collinare favorisce l’adattamento del metabolismo basale. Questo significa che, anche dopo l’attività, il corpo continua a bruciare calorie a un ritmo più elevato durante il periodo di recupero, un fenomeno noto come “afterburn effect”. Tale effetto contribuisce a mantenere un bilancio energetico favorevole alla perdita di grasso, rendendo la camminata in salita una strategia efficace per chi desidera tenere sotto controllo il proprio peso.

L’importanza della tecnica e della postura

Un corretto approccio alla camminata in salita è essenziale per massimizzare i benefici e ridurre il rischio di infortuni. La postura deve essere eretta, con il mento leggermente sollevato e le spalle rilassate. Il passo deve essere regolare e misurato, evitando movimenti troppo bruschi che potrebbero compromettere l’equilibrio. Durante l’ascensione, è consigliabile utilizzare le braccia in modo coordinato: una leggera oscillazione può favorire la stabilizzazione e contribuire a distribuire meglio lo sforzo. Alcuni esperti raccomandano di variare la lunghezza del passo e la velocità, adattando l’andatura al grado di pendenza e alle proprie capacità fisiche.

Per chi è alle prime armi, è importante iniziare gradualmente, magari scegliendo percorsi che combinino tratti pianeggianti e salite dolci, per abituare il corpo all’impegno fisico. Con il tempo e l’esperienza, sarà possibile affrontare tracciati più impegnativi, aumentando progressivamente la durata e l’intensità degli allenamenti. L’utilizzo di appositi dispositivi per il monitoraggio della frequenza cardiaca e del dispendio calorico può essere un valido alleato per tenere sotto controllo i progressi e per pianificare sessioni di allenamento personalizzate.

L’aspetto sociale e il piacere della condivisione

Un ulteriore vantaggio della camminata in salita è rappresentato dall’aspetto sociale dell’attività escursionistica. Molte persone trovano nella condivisione di percorsi in montagna o collinari un’opportunità per creare relazioni, fare nuove amicizie e rafforzare i legami esistenti. Le escursioni organizzate dalla Federazione Italiana Escursionismo, ad esempio, non solo offrono la possibilità di scoprire paesaggi mozzafiato e di vivere esperienze uniche, ma rappresentano anche momenti di aggregazione e confronto, dove il benessere fisico si sposa con quello emotivo e sociale.

Partecipare a uscite di gruppo può essere particolarmente motivante per chi si sente meno propenso a intraprendere da solo percorsi impegnativi. Il sostegno reciproco e l’entusiasmo dei compagni di cammino creano un ambiente positivo e stimolante, dove il raggiungimento di obiettivi comuni diventa fonte di soddisfazione e crescita personale. Questa dimensione relazionale contribuisce a rendere la camminata in salita un’esperienza completa e gratificante sotto ogni punto di vista.

Suggerimenti pratici per iniziare

Ecco alcuni consigli utili per chi desidera avvicinarsi alla camminata in salita:

  1. Preparazione fisica e stretching: Prima di iniziare l’allenamento, è fondamentale dedicare qualche minuto a esercizi di riscaldamento e stretching. Questo aiuta a prevenire infortuni e a preparare i muscoli allo sforzo.
  2. Scelta dell’abbigliamento e delle scarpe: Utilizzare abbigliamento tecnico traspirante e scarpe da trekking con una buona aderenza è essenziale per affrontare percorsi irregolari e variabili.
  3. Pianificazione del percorso: Studiate in anticipo il tracciato, valutando il grado di pendenza e la lunghezza del percorso. Iniziate con itinerari meno impegnativi e, con il tempo, aumentate gradualmente il livello di difficoltà.
  4. Idratazione e alimentazione: Portate con voi dell’acqua e piccoli snack energetici. Una corretta idratazione e un apporto calorico bilanciato sono fondamentali per mantenere le energie durante l’escursione.
  5. Monitoraggio dell’attività: Utilizzate strumenti di monitoraggio, come cardiofrequenzimetri o app per il fitness, per controllare il ritmo e il consumo calorico. Questi strumenti non solo aiutano a misurare i progressi, ma forniscono anche dati utili per personalizzare gli allenamenti futuri.

Esperienze e testimonianze

Molti escursionisti hanno sperimentato in prima persona i benefici della camminata in salita. Tra le testimonianze più frequenti, emerge la sensazione di rinvigorimento e la consapevolezza di aver compiuto un’azione positiva non solo per il proprio corpo, ma anche per la mente. Racconti di chi ha visto migliorare la propria condizione fisica, di chi ha superato ostacoli e di chi ha scoperto un nuovo modo di vivere la natura sono una costante fonte di ispirazione per tutti coloro che decidono di affrontare il sentiero. Queste esperienze, spesso condivise durante le escursioni di gruppo organizzate dalla Federazione, testimoniano come il camminare in salita rappresenti un valido strumento per conciliare benessere e piacere.

L’importanza di un approccio olistico

Non si tratta solo di bruciare calorie: la camminata in salita è un’attività che abbraccia una filosofia di vita. L’equilibrio tra sforzo fisico, rigenerazione mentale e connessione con la natura si traduce in un’esperienza globale di benessere. Affrontare una salita significa, in senso metaforico, superare le sfide quotidiane con determinazione, coltivando la resilienza e la fiducia in se stessi. In questo senso, ogni passo rappresenta un piccolo successo, un progresso verso una versione migliore di sé stessi, capace di trasformare lo sforzo in gioia e soddisfazione personale.

Conclusioni

In conclusione, il camminare in salita si configura come un’attività multifunzionale che va ben oltre il semplice atto fisico del muoversi. Grazie al suo potere di bruciare calorie, rafforzare il sistema cardiovascolare e migliorare il tono muscolare, rappresenta un alleato prezioso per chi desidera mantenersi in forma. Allo stesso tempo, il contatto diretto con la natura e il piacere della condivisione rendono l’esperienza escursionistica un momento di rinascita mentale ed emotiva. La Federazione Italiana Escursionismo vi invita a sperimentare questa pratica, a sfidare voi stessi e a scoprire che il segreto per mantenere la linea può essere un cammino, fatto di passione, determinazione e tanta, tanta gioia.

Ricordate: ogni salita è un’opportunità per crescere e per apprezzare il valore inestimabile del movimento all’aria aperta. Che siate principianti o escursionisti esperti, il sentiero vi aspetta per regalarvi nuove emozioni e per ricordarvi che il benessere si conquista un passo alla volta.

Buona camminata e… avanti tutta, verso nuove vette!

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Dalla FIE: Un’escursione in Mountain Bike dal punto di vista dell’accompagnatore.

La sveglia è presto, nonostante sia domenica e la settimana di lavoro impegnativa; controllo la mountain bike un’ultima volta prima di caricarla in macchina. Un gruppo eterogeneo di bikers mi aspetta: alcuni volti nuovi, altri volti noti, tutti con la stessa scintilla negli occhi, pronti a immergersi nella natura.

La partenza:

Il briefing iniziale è fondamentale: ripasso il percorso (che peraltro ho verificato qualche tempo fa con un altro accompagnatore), le norme di sicurezza, le previsioni meteo e rispondo alle ultime domande. Ancora una check list per tutti i partecipanti per verificare le bici. Poi, si parte. Dapprima su strada, il meno possibile, poi su una pista tagliafuoco che si inerpica nel bosco, si comincia a rompere il fiato, dagli sguardi e da poche parole scambiate cerco di capire se tutti sono in grado di arrivare in cima comodamente.

Il ritmo e le soste:

Il ritmo è cruciale: troppo veloce e qualcuno rischia di rimanere indietro, troppo lento e l’energia si disperde. Trovare l’equilibrio è un’arte. Le soste sono necessarie, il tempo di bere un sorso d’acqua, scambiare due chiacchiere, ammirare il panorama. Se posso ne approfitto per raccontare storie del luogo, curiosità sulla flora e la fauna e altre eventuali curiosità o argomenti di interesse.

La salita e la vetta:

Il percorso è un anello che partendo dalla quota delle latifoglie arriva oltre i 2000 dove ci sono solo prati e rocce, la strada è diventata pista tagliafuoco, poi carrareccia sterrata, infine single track per arrivare al punto panoramico. Qui il fiatone diventa soddisfazione per la quota raggiunta tutti insieme ad ammirare il panorama, fare qualche bella foto e rifocillarci. Un occhio all’orologio e uno ad alcune nuvole che si avvicinano indico il sentiero di ritorno, ma prima cerco di dare alcune indicazioni tecniche sulla discesa che ci aspetta.

La discesa e il ritorno:

La discesa richiede attenzione, il terreno è sconnesso, le gambe sono stanche. Mantengo alta la concentrazione, fermandomi se necessario a suggerire come fare i passaggi più tecnici, che comunque sono tutti fattibilissimi, siamo escursionisti non downhiller! L’arrivo è un momento di condivisione, si scambiano impressioni, si ride, si scherza. Il legame che si è creato durante l’escursione è tangibile. Anche una birra non ci sta male.

L’arrivo e i saluti:

Alla fine, il gruppo è stanco ma felice. I volti sono segnati dal sole e dalla fatica, ma gli occhi brillano di gioia. I saluti sono calorosi, ci si dà appuntamento alla prossima data.

L’accompagnatore:

Art. 1 – DEFINIZIONE

L’Accompagnatore di Escursionismo (AE-AEN) è un Tesserato di una Associazione affiliata che, a fronte di competenze apprese in appositi corsi formativi somministrati dalla Federazione Italiana Escursionismo, accetta di condurre in escursione Tesserati e non, assumendosi la responsabilità di offrire collaborazione, assistenza e protezione agli stessi accompagnati.

L’Accompagnatore Escursionistico (AE/AEN) opera in modo esclusivamente volontario e senza scopo di lucro, sotto la responsabilità del Presidente di Associazione con cui è Tesserato alla FIE, e non può organizzare, proporre, condurre escursioni come singolo operatore e/o operare al di fuori della propria Associazione senza l’accordo di quest’ultima.”

Questa la definizione data dal regolamento Accompagnatori Escursionistici FIE, che pone chiari limiti alle possibilità di operare come accompagnatori all’interno della FIE, ma apre anche un mondo di possibilità.

Le motivazioni per diventare Accompagnatore devono, a mio parere, partire dalla passione per l’escursionismo e dalla volontà di rendersi utili alla comunità.

La mia personale esperienza di Accompagnatore si limita alla Mountain Bike, ma le motivazioni sono le stesse e i risultati credo siano gli stessi, aver conosciuto tante persone che sono diventate nella maggior parte dei casi amici ed amiche.

L’Associazione come fulcro quindi per creare gruppi coesi con interessi comuni e dove ogni tesserato contribuisce a migliorare l’escursione, con l’accompagnatore che stimola e controlla i partecipanti.

Fabrizio Rocci
Consigliere Federale

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Dalla FIE: La gestione dei sentieri per mountain bike 

La mountain bike è uno sport che attira appassionati di tutte le età e livelli di esperienza. Tuttavia, l’aumento del numero di biker ha portato a una maggiore pressione sui sentieri, con conseguenti problemi di erosione, degrado del suolo e conflitti con altri utenti, come escursionisti e cavalieri. Problemi aggravati nel recente periodo dalla diffusione di E-MTB a pedalata assistita, a causa del maggiore peso del mezzo e di copertoni con tassellature e dimensione superiore. Per garantire la sostenibilità di questa attività e la sicurezza di tutti, è fondamentale una corretta gestione dei sentieri.

Principi fondamentali

La gestione dei sentieri per mountain bike si basa su alcuni principi fondamentali:

  • Sostenibilità: i sentieri devono essere progettati e costruiti in modo da minimizzare l’impatto ambientale e resistere all’usura causata dal passaggio delle bici.
  • Sicurezza: i sentieri devono essere sicuri per i biker, con segnaletica chiara e percorsi ben tracciati.
  • Condivisione: i sentieri devono essere condivisi con altri utenti, nel rispetto delle esigenze di ciascuno e con regole chiare per evitare conflitti.
  • Manutenzione: i sentieri devono essere regolarmente controllati e sottoposti a manutenzione per garantire la loro sicurezza e funzionalità nel tempo.

Fasi della gestione dei sentieri

La gestione dei sentieri per mountain bike si articola in diverse fasi:

  • Pianificazione: in questa fase si definiscono gli obiettivi, si individuano i percorsi più adatti, si valutano i rischi e si ottengono le autorizzazioni necessarie.
  • Progettazione: si realizza il progetto esecutivo dei sentieri, definendo il tracciato, le pendenze, le strutture e la segnaletica.
  • Costruzione: si realizzano i lavori di costruzione dei sentieri, seguendo il progetto e utilizzando materiali e tecniche appropriate.
  • Manutenzione: si effettuano controlli periodici e interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria per garantire la sicurezza e la funzionalità dei sentieri.
  • Monitoraggio: si verifica l’efficacia delle misure di gestione adottate e si apportano eventuali modifiche per migliorare la sostenibilità e la sicurezza dei sentieri.

Attenzione a costruire sentieri non autorizzati!

  1. È illegale: Chi realizza lavori di trail building su terreni privati rischia una denuncia penale e multe salate.
  2. Responsabilità: In caso di incidente, il proprietario del terreno è responsabile, anche se all’oscuro di tutto.

Come utenti dei sentieri, siamo ospiti: rispettiamo la proprietà altrui! 

Buone pratiche per i biker

Anche i biker hanno un ruolo fondamentale nella gestione dei sentieri. Ecco alcune buone pratiche da seguire:

  • Rispettare le regole e la segnaletica.
  • Non uscire dai sentieri tracciati.
  • Moderare la velocità e fare attenzione agli altri utenti.
  • Non lasciare rifiuti o altri segni del proprio passaggio.
  • Collaborare con i gestori dei sentieri e segnalare eventuali problemi.

Conclusioni

La gestione dei sentieri per mountain bike è un processo complesso che richiede la collaborazione di tutti gli attori coinvolti: gestori, biker, istituzioni e altri utenti. 

In particolare, visto l’approccio prettamente escursionistico della FIE, anche le pratiche di manutenzione ed eventualmente realizzazione di sentieri che prevedano il passaggio (esclusivo e non) di MTB, vanno finalizzate a questo scopo. Solo attraverso un impegno comune è possibile garantire la sostenibilità di questa attività sportiva e la sicurezza di tutti.

 

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