Dalla FIE: Come evitare vesciche: calze tecniche e piccoli accorgimenti vincenti

Evitare le dolorose vesciche durante un’escursione in montagna non è solo questione di fortuna, ma di scelta oculata dell’equipaggiamento e di piccoli accorgimenti quotidiani che fanno la differenza tra una camminata piacevole e una sofferenza evitabile. Iniziare dalla qualità delle calze è fondamentale: i modelli tecnici, realizzati con fibre sintetiche ad alte prestazioni o con lana merino, garantiscono una gestione ottimale dell’umidità e un’efficace termoregolazione. La superficie interna deve essere morbida e uniforme, priva di cuciture sporgenti, mentre quella esterna resistere all’usura e favorire lo scorrimento della calzatura. Scegliere calze anatomiche, con rinforzi mirati su tallone e punta, riduce l’attrito nei punti più sollecitati dal movimento e protegge la pelle dall’insorgenza di punti caldi, responsabili delle famigerate vesciche.

Il materiale è il primo elemento da tenere in considerazione: le calze in lana merino offrono un’eccezionale capacità di regolare la temperatura, mantenendo i piedi caldi anche a basse temperature e asciutti grazie alle naturali proprietà antibatteriche della fibra. Le alternative sintetiche, invece, come poliammide e polipropilene, vantano un’elevata resistenza all’abrasione, un’asciugatura rapidissima e un’elasticità che segue i movimenti del piede senza costrizioni. Molti marchi specializzati propongono calze “ibride”, che combinano lana merino nella parte interna a componenti sintetici sugli strati esterni, assicurando il miglior compromesso tra comfort, durata e gestione dell’umidità. In ogni caso, è essenziale evitare il cotone tradizionale: assorbe l’umidità e resta a contatto con la pelle, creando un ambiente ideale per la formazione di vesciche.

Un aspetto spesso trascurato dai principianti è la scelta tra calze a strato singolo e sistemi a doppio strato. Le calze a doppio strato, costituite da un guscio interno aderente e uno esterno leggermente più largo, sfruttano il principio dello scorrimento tra i due tessuti: mentre il piede si muove con la calza interna, lo strato esterno segue il movimento della scarpa, riducendo drasticamente l’attrito diretto sulla pelle. Questa soluzione, nata per il trekking di lunga durata e per le competizioni di trail running, ha dimostrato di limitare quasi completamente la comparsa di bolle, purché entrambe le calze vestano correttamente e non si stacchino o si raggrinziscano all’interno dello scarpone.

La misura e l’aderenza della calza sono determinanti: un’eccessiva compressione provoca costrizioni e irritazioni, mentre una taglia abbondante crea pieghe che strofinano il piede. Prima di ogni uscita, è consigliabile indossare le calze nuove in casa, verificando che non si formino grinze quando si piega il piede o si cammina per qualche decina di passi. Le calze tecniche devono avvolgere l’arco plantare con elasticità, senza lasciare spazi vuoti tra polpaccio, caviglia e piede. Per chi ha differenti misure tra piede destro e sinistro, è opportuno acquistare calze per ogni piede: molti produttori indicano la taglia per ciascun piede e offrono confezioni miste.

La calza perfetta, però, opera in sinergia con la calzatura: inserire plantari personalizzati o solette tecniche può correggere automaticamente la postura del piede, distribuire meglio il peso e ridurre i punti di pressione. Indossare le calze insieme alle scarpe in negozio o a casa, con le solette già inserite, consente di valutare l’abbinamento migliore. Una lacciatura ben eseguita – con nodi intermedi che blocchino il tallone senza comprimerlo – aiuta a mantenere fermo il piede, prevenendo micro-movimenti e conseguenti sfregamenti. In situazioni di salita ripida o discesa tecnica, una seconda asola di blocco sulla caviglia stabilizza ulteriormente la calzatura, aumentando precisione e comfort.

Non meno importante è la cura della pelle e delle unghie: un taglio regolare, dritto e poco profondo, previene l’insorgere di unghie incarnite e riduce il rischio di distaccamenti sottocutanei. Applicare quotidianamente una crema idratante specifica – con ingredienti quali urea e pantenolo – rinforza la barriera cutanea, rendendo la pelle più elastica e meno propensa a lesioni. Nei punti considerati “a rischio” (mignolo, tallone, metatarso), si possono applicare cerotti protettivi o utilizzare nastri in tessuto “abrasivo” che spostano l’attrito dalla pelle al nastro stesso. Per escursioni molto lunghe, portare con sé dei piccoli ritagli di cerotti idrocolloidali permette di intervenire sul primo segno di irritazione, evitando l’evoluzione in vesciche piene di liquido.

Durante la camminata, mantenere il piede asciutto è indispensabile. In giornate calde o in percorsi fangosi, il cambio delle calze a metà giornata costituisce un’abitudine vincente: lasciare che i piedi si aerino qualche minuto al sole o all’aria aperta riduce rapidamente l’umidità. Utilizzare bustine sigillate per le calze di ricambio e inserire all’interno del mezzocalzino un piccolo sacchetto di gel di silice (quello che si trova nelle confezioni di elettronica) aiuta a mantenere l’essiccazione. Se l’acqua penetra nella scarpa o nello scarpone, estrarre la soletta interna e scuotere l’eccesso d’acqua prima di riporre di nuovo la scarpa nello zaino è un gesto semplice che ripaga con una sensazione di freschezza immediata.

Alla fine della giornata, la manutenzione delle calze tecniche è un passaggio fondamentale per garantirne durata e performance future. Lavare sempre in acqua fredda o tiepida, evitando temperature elevate che rovinano le fibre elastiche, e usare detersivi delicati privi di ammorbidenti: questi ultimi tendono a depositarsi sulle fibre, riducendo la capacità di traspirazione. Non centrifugare a velocità eccessive e stendere all’ombra, lontano da fonti di calore diretto e raggi solari intensi. Conservare le calze in un luogo asciutto e ventilato, lontano da cassetti umidi o aree soggette a sbalzi termici, per evitare la formazione di muffe o odori sgradevoli.

Integrare questi piccoli ma preziosi accorgimenti nella routine dell’escursionista significa trasformare un’esperienza potenzialmente dolorosa in una passeggiata rigenerante. Le vesciche non sono un destino ineluttabile: con la giusta conoscenza dei materiali, l’attenzione al fitting e una corretta cura della pelle, è possibile dedicarsi al piacere del cammino senza fastidi. Ogni escursione diventa così un’opportunità per apprezzare i panorami, concentrarsi sul respiro e ottenere il massimo benessere fisico e mentale che solo la montagna sa donare.

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Dalla FIE: Camminare tra i fiori di montagna: le specie più comuni e come fotografarle al meglio

Pulsatilla alpina nel Parco Nazionale del Gran Paradiso (fonte: Wikipedia)

Camminare tra i fiori di montagna significa entrare in un mondo sospeso tra cielo e terra, dove la natura si esprime in forme, colori e profumi spesso sorprendenti. In Italia, la grande varietà di ambienti montani consente di incontrare una ricchezza floristica di incredibile bellezza: dai prati d’alta quota fino ai pascoli subalpini, passando per le zone rocciose e i sottoboschi, ogni habitat custodisce specie differenti, ognuna con i propri adattamenti. Osservare questi fiori e documentarli fotograficamente è un’esperienza gratificante, ma richiede pazienza, rispetto per l’ambiente e qualche conoscenza tecnica di base. Chiunque ami la montagna dovrebbe saper riconoscere almeno i fiori più comuni, così da apprezzarne l’importanza ecologica e poter godere a pieno dello spettacolo naturale che ci circonda.

Il primo passo per individuare i fiori di montagna più diffusi consiste nel comprendere come gli ambienti si stratificano con l’altitudine. Man mano che si sale, la vegetazione cambia: nelle fasce submontane, ad altitudini relativamente moderate, si possono trovare arbusti e piante che richiedono temperature ancora abbastanza miti, come il rododendro o determinate specie di campanule. Salendo oltre i 1500-2000 metri, i boschi lasciano spazio a pascoli e brughiere d’alta quota, dove i fiori si riducono in dimensioni e diventano spesso più robusti, con forme compatte per resistere a freddo, vento e radiazioni solari più intense. A quote particolarmente elevate, oltre i 2500-3000 metri, sopravvivono solo poche piante pioniere capaci di superare condizioni estreme, di cui la stella alpina è l’emblema più famoso.

Gentiana pumila, cresciuta ai piedi delle Dolomiti bellunesi (fonte: Wikipedia)

Tra le specie più comuni e facilmente osservabili ci sono le genziane. Esistono diverse varietà di questo genere, che si riconoscono dal tipico colore blu acceso. La genziana maggiore, per esempio, fiorisce tra giugno e agosto nei prati alpini e subalpini, presentando un blu intenso che risalta magnificamente sul verde dell’erba. Altre genziane, come la genziana di Koch, sono più piccole e prediligono luoghi rocciosi, ma conservano sempre quell’inconfondibile vivacità cromatica che le rende un soggetto fotografico quasi obbligato per chiunque si avventuri in montagna nella stagione estiva. Non tutti sanno che molte genziane, oltre alla bellezza, possiedono principi attivi interessanti dal punto di vista erboristico, ma è bene ricordare che la raccolta indiscriminata è severamente vietata in molte aree protette e, al di là degli aspetti normativi, un appassionato di escursionismo dovrebbe sempre lasciare la natura intatta per i futuri visitatori.

La Conca dei rododendri, Parco della Burcina, Biella

Un altro fiore molto amato, spesso simbolo stesso dei paesaggi alpini, è il rododendro. In realtà, più che un singolo fiore, parliamo di un intero genere di arbusti sempreverdi, i cui fiori possono variare dal rosa al rosso intenso, con campanule riunite in vistosi corimbi. Il rododendro ferrugineo, per esempio, è frequente sui pendii assolati delle Alpi e può formare veri e propri tappeti di colore. La sua fioritura, che avviene di solito tra giugno e inizio luglio, è un momento attesissimo dagli escursionisti, perché trasforma i versanti montani in spettacolari scenari. Fotografare il rododendro è un vero piacere: ci si può avvicinare con un obiettivo macro per cogliere i dettagli di petali e stami, oppure si può prediligere un grandangolo se lo si vuole inserire in un contesto panoramico di cime e vallate.

Stella alpina (Leontopodium nivale subsp. alpinum) [Fonte: Wikipedia]

Uno dei fiori più iconici delle vette italiane è certamente la stella alpina. Nota scientificamente come Leontopodium nivale, la stella alpina è un fiore protetto che cresce in ambienti rocciosi e praterie d’alta quota, di solito tra i 1800 e i 3000 metri. È caratterizzata dalla tipica forma stellata e da una pubescenza biancastra che la protegge dal freddo e dalla forte radiazione solare. Per fotografarla, occorre prima di tutto trovarla, il che non è sempre facile, dal momento che predilige luoghi difficilmente accessibili. Incontrarne un esemplare in fiore è sempre un’emozione: merita il massimo rispetto, evitando assolutamente di coglierla e limitandosi a scattare una foto, possibilmente inginocchiandosi a qualche passo di distanza per non calpestare il terreno circostante. Dal punto di vista fotografico, la sfida consiste nel bilanciare correttamente la luce sul bianco dei petali, per non bruciare i dettagli della superficie vellutata. Può essere utile regolare l’esposizione in modo leggermente negativo, cosicché la brillantezza del fiore non vanifichi la resa dei particolari.

Un fiore che può sorprendere per la sua delicatezza è la primula alpina. Ne esistono numerose specie, contraddistinte da colori che spaziano dal giallo al rosa, fino al viola acceso. Nelle Alpi e negli Appennini, una delle più comuni è la primula marginata, facile da riconoscere per i margini fogliari bianchi e dentellati. Si trova spesso su rocce calcaree o in ambienti sassosi, dove si aggrappa con radici resistenti. Quando la si fotografa, può essere interessante catturare il contrasto tra la fragile eleganza del fiore e la durezza della roccia: un gioco di contrasti che simboleggia l’adattamento straordinario delle piante di montagna a condizioni di vita ardue, ma anche la loro capacità di trasmettere un’idea di armonia. Un consiglio: se la primula cresce su una parete o in posizione elevata, la prospettiva dal basso verso l’alto potrà regalare uno sfondo di cielo che enfatizza la colorazione dei petali.

Ranuncolo (fonte: Wikipedia)

Tra i fiori più facili da individuare per la vivacità dei colori rientrano anche certe specie di ranuncoli, come il ranuncolo glaciale, tipico dei pendii ad altissima quota, o il ranuncolo alpino dai petali bianchi con un cuore giallo intenso. Simili a piccole gemme, questi fiori si aprono con il bel tempo, offrendo un tocco di candore ai prati che stanno lasciando la neve. Sono perfetti per la fotografia ravvicinata, soprattutto se si riesce a coglierne i dettagli interni, come i pistilli e gli stami. In generale, per scattare buone foto di fiori di piccole dimensioni, è preferibile utilizzare un obiettivo macro o, in alternativa, un tubo di prolunga che permetta di ridurre la distanza di messa a fuoco. È buona pratica bloccare il movimento della fotocamera, magari sfruttando un cavalletto, o quantomeno affidandosi a tempi di scatto sufficientemente rapidi, poiché anche un leggero colpo di vento può rendere sfocate le immagini.

Una caratteristica dei fiori di montagna è la loro spiccata capacità di adattamento. Molte specie crescono in cuscinetti compatti, con foglie piccole e coriacee che riducono la dispersione di acqua. Le piante che vivono sopra i 2000 metri devono spesso affrontare forti escursioni termiche e un vento costante che asciuga rapidamente il suolo. Ciò spiega la diffusione di fiori bassi, dotati di rizomi sotterranei per accumulare nutrienti. Anche questo aspetto può diventare un tema interessante da documentare in fotografia: non solo il fiore in sé, ma l’intero contesto in cui cresce, dal ciuffo erboso a eventuali rocce o detriti circostanti. Il racconto visivo di come la pianta si integra nell’ecosistema fornisce un messaggio di rispetto e comprensione per la natura stessa.

Scattare fotografie di fiori in montagna richiede anche una buona conoscenza dell’orario e della luce migliori. Al mattino presto e nel tardo pomeriggio la luce è più morbida e i contrasti sono meno netti, il che può valorizzare la delicatezza dei petali. Le ore centrali della giornata, al contrario, producono ombre più dure e rischiano di rovinare la resa cromatica, specie se i petali sono di tonalità chiare. In presenza di forte luce solare, può aiutare un piccolo pannello riflettente o un diffusore portatile, in modo da schiarire le ombre o addolcire l’irraggiamento diretto. Se si punta a un effetto di controluce, è bene regolare la misurazione esposimetrica manualmente o ricorrere alla compensazione, per non ottenere fiori sovraesposti. Il ritocco successivo, se fatto con moderazione, può migliorare la brillantezza dei colori senza stravolgere la naturalità della scena.

Un aspetto spesso sottovalutato, ma cruciale per un approccio etico, è la necessità di non disturbare il fragile ecosistema alpino. Camminare fuori sentiero potrebbe danneggiare piante giovani o calpestare intere colonie di specie rare. Alcuni fiori di montagna, come le specie di orchidee spontanee, sono particolarmente vulnerabili e protette dalla legge. Anche una semplice pressione del piede può compromettere lo sviluppo delle radici o alterare il microhabitat in cui quella specie prospera. Se si desidera scattare una macro, il suggerimento è di osservare attentamente dove ci si appoggia o ci si inginocchia, facendo attenzione a ciò che ci circonda. Il rispetto per la natura va oltre il mero obbligo normativo, è un dovere morale verso il territorio che amiamo e dal quale traiamo tante soddisfazioni, compresa la bellezza di una fotografia ben realizzata.

Molti appassionati di escursionismo desiderano condividere le proprie fotografie sui social o su riviste specializzate. Un consiglio per dare maggiore incisività al proprio lavoro è quello di raccontare una storia visiva: non limitarsi a singole immagini di fiori isolati, ma costruire un piccolo reportage che mostri l’escursione dall’inizio alla fine, includendo panorami, dettagli, eventuali interazioni con insetti impollinatori. Le api, i bombi e le farfalle sono spesso presenti in gran numero nei prati di montagna, dando vita a scatti dinamici e interessanti. Per riuscire a catturare insetti in movimento, può tornare utile impostare un tempo di posa abbastanza breve o attivare la funzione di scatto continuo. È importante anche mantenere un certo margine di distanza, in modo da non disturbare gli animali e non perdere la messa a fuoco.

L’uso di un filtro polarizzatore può aiutare a esaltare i colori dei fiori e a ridurre i riflessi, specie se si fotografa in ambienti ricchi di superfici lucide, come rocce bagnate, rugiada o foglie umide al mattino. Inoltre, un polarizzatore permette di scurire parzialmente il cielo, creando un piacevole contrasto tra l’azzurro e le tinte dei petali. Tuttavia, è bene non abusare di effetti che possono alterare eccessivamente la percezione naturale della scena: l’obiettivo principale dovrebbe essere quello di far emergere la bellezza reale del fiore, non di trasformarla in qualcosa di artificiale.

Per chi ama la post-produzione, è consigliabile lavorare in formato RAW, qualora la fotocamera lo consenta. Ciò permette di correggere piccoli difetti di esposizione o bilanciamento del bianco senza perdere troppa qualità. È saggio intervenire con moderazione sulla saturazione, perché i fiori di montagna hanno già colori molto vivi e un eccesso di intervento potrebbe restituire un risultato innaturale. Una volta pronte, le foto potranno essere condivise accompagnate da qualche riga esplicativa su dove e quando sono state scattate, quali specie sono presenti e perché vale la pena proteggerle. Questo aggiunge valore educativo alle immagini e contribuisce a diffondere una maggiore consapevolezza naturalistica.

In conclusione, camminare tra i fiori di montagna non è soltanto un’occasione per riempirsi gli occhi di meraviglia, ma anche un invito a sviluppare un rapporto più stretto con l’ambiente alpino e subalpino. Imparare a riconoscere le specie più comuni, sapere come e quando fioriscono, capirne gli adattamenti al clima rigido e documentarne la bellezza con la fotografia significa anche diventare testimoni e divulgatori di un patrimonio unico. Ogni petalo racconta un’evoluzione millenaria, un legame profondo con la terra e con gli esseri viventi che la popolano. Percorrere i sentieri con attenzione, silenzio e rispetto diventa allora un atto di gratitudine verso un tesoro condiviso, che va custodito e tramandato. E la fotografia diviene il mezzo attraverso cui fermare il tempo di un istante, senza strappare nulla alla montagna, restituendo invece a chi guarda la sensazione di trovarsi, anche solo per un momento, a respirare l’aria frizzante e incontaminata delle alture in fiore.

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Dalla FIE: La Giornata mondiale della Terra 2025: “Il nostro potere, il nostro Pianeta”

La Giornata Mondiale della Terra, celebrata ogni anno il 22 aprile, è un evento globale che mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi legati alla protezione dell’ambiente, alla sostenibilità e alla salvaguardia del nostro pianeta. Nel 2025, il tema scelto per questa giornata è “Il nostro potere, il nostro pianeta”, un invito potente e chiaro che ci esorta a riflettere sul nostro ruolo nell’affrontare le sfide ambientali globali e a riconoscere il potenziale che ciascuno di noi ha nel determinare il futuro della Terra.

L’importanza della Giornata mondiale della Terra

Ogni anno, la Giornata Mondiale della Terra rappresenta un’occasione per focalizzarsi sulle problematiche ecologiche che minacciano il nostro mondo. La crisi climatica, la perdita della biodiversità, l’inquinamento delle acque e dei terreni, la deforestazione e l’uso eccessivo delle risorse naturali sono solo alcune delle sfide urgenti che necessitano una risposta collettiva e concreta. La celebrazione di questa giornata, infatti, non è solo un momento simbolico di riflessione, ma un invito all’azione, affinché tutti, cittadini, istituzioni e imprese, possano collaborare per promuovere un futuro più verde e più sostenibile.

Nel 2025, con il tema “Il nostro potere, il nostro pianeta”, si vuole sottolineare l’importanza di un cambiamento radicale, che parta dalla consapevolezza che ogni individuo ha il potere di fare la differenza. Se da una parte i governi e le grandi organizzazioni internazionali devono prendere decisioni strategiche e politiche per combattere i cambiamenti climatici, dall’altra è essenziale che anche i singoli cittadini, le piccole imprese e le comunità abbiano un ruolo attivo nella protezione della Terra.

Il ruolo del potere individuale

In un mondo sempre più interconnesso, dove le informazioni circolano velocemente e le scelte quotidiane hanno un impatto su scala globale, ogni decisione che prendiamo può avere conseguenze sul nostro ambiente. Acquistare prodotti sostenibili, ridurre il consumo di energia, adottare stili di vita a basso impatto, o ancora, impegnarsi in azioni di sensibilizzazione e attivismo sono solo alcune delle azioni che possiamo intraprendere per contribuire al benessere del nostro pianeta.

La consapevolezza individuale è quindi il primo passo verso un cambiamento più ampio. Comprendere che ogni piccola scelta può avere un impatto positivo o negativo sulla Terra è fondamentale per costruire una cultura della sostenibilità che diventi parte integrante delle nostre vite quotidiane. In questo senso, l’educazione ambientale gioca un ruolo cruciale: sensibilizzare le nuove generazioni, ma anche gli adulti, è essenziale per creare una società più attenta e responsabile nei confronti dell’ambiente.

L’impegno individuale può tradursi in molteplici azioni concrete: ridurre l’uso della plastica monouso, scegliere mezzi di trasporto pubblici o non inquinanti come la bicicletta, consumare cibo locale e stagionale, ridurre gli sprechi alimentari, o ancora, promuovere pratiche di riciclo e riuso. Ogni scelta consapevole è un passo verso un futuro migliore per il nostro pianeta.

Il potere delle istituzioni e delle imprese

Nonostante l’importanza dell’impegno individuale, la lotta per la sostenibilità richiede azioni su scala globale. I governi hanno il compito di implementare politiche pubbliche che favoriscano la transizione verso un modello economico circolare e a basse emissioni di carbonio. Le politiche ambientali devono promuovere l’adozione di energie rinnovabili, la protezione delle risorse naturali, e l’incremento degli investimenti in tecnologie verdi. La transizione energetica è fondamentale per limitare l’aumento delle temperature globali e ridurre l’impatto del cambiamento climatico.

Anche le imprese hanno un ruolo centrale nel definire il futuro del nostro pianeta. Le aziende possono promuovere la sostenibilità non solo attraverso la produzione di beni e servizi rispettosi dell’ambiente, ma anche adottando pratiche aziendali che riducono l’impronta ecologica. La responsabilità sociale delle imprese (CSR) sta diventando un valore sempre più importante, non solo per i consumatori, ma anche per gli investitori e i dipendenti. Le aziende sostenibili sono quelle che non solo generano profitto, ma che contribuiscono attivamente alla protezione dell’ambiente e al benessere delle comunità.

La Giornata mondiale della Terra: un invito all’azione

Il 22 aprile 2025, in occasione della Giornata Mondiale della Terra, è fondamentale che tutti, dai singoli individui alle grandi istituzioni, riconoscano il loro potere di agire per il bene del pianeta. Le sfide ambientali che ci troviamo ad affrontare sono enormi, ma non sono insormontabili. La chiave per affrontarle è la collaborazione: solo attraverso un impegno comune e una visione condivisa possiamo costruire un futuro più sostenibile.

Le azioni individuali, quando sommate, possono davvero fare la differenza. Ecco perché, in occasione di questa giornata speciale, è importante ricordare che il nostro potere, come individui e come collettività, è più grande di quanto pensiamo. Se tutti noi ci impegnassimo ogni giorno per ridurre il nostro impatto sul pianeta, i cambiamenti positivi non tarderebbero ad arrivare.

Ogni gesto conta. Ogni scelta consapevole ha un impatto diretto sulla salute del nostro pianeta. E come afferma il tema di quest’anno, “Il nostro potere, il nostro pianeta”, è il momento di agire. Perché il nostro futuro dipende dalle azioni che intraprendiamo oggi.

Conclusione

La Giornata Mondiale della Terra del 2025 ci invita a riflettere sul nostro potere, ma anche sulle nostre responsabilità nei confronti della Terra. Ognuno di noi ha un ruolo importante nel preservare l’ambiente e nel promuovere un futuro più sostenibile. Il nostro impegno, sia individuale che collettivo, è fondamentale per proteggere il nostro pianeta e garantire un mondo più verde e prospero per le generazioni future.

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Dalla FIE: Attrezzatura leggera: come ridurre il peso senza compromettere la funzionalità

Affrontare un’escursione con un equipaggiamento leggero non significa rinunciare a comfort, sicurezza o funzionalità, ma saper bilanciare con cura ogni componente riducendo il peso superfluo e valorizzando l’essenziale. Ridurre i grammi nello zaino è una pratica che richiede un approccio metodico, una conoscenza approfondita dei materiali e una revisione critica di ogni oggetto che intendiamo portare con noi. In primo luogo, è fondamentale definire il concetto di “peso di base” (base weight), ovvero il peso totale dello zaino completo di tutta l’attrezzatura esclusi cibo, acqua e combustibile. Puntare a un peso di base inferiore ai 6–7 kg rappresenta un obiettivo realistico per la maggior parte delle escursioni di più giorni, mentre gli appassionati di ultralight talvolta scendono sotto i 4 kg, sacrificando volumi e ridondanze solo quando le condizioni e le proprie competenze lo consentono.

Per iniziare, è utile scomporre l’equipaggiamento in categorie: abbigliamento, riparo, sacco a pelo e materassino, cucina, idratazione e utensili vari. Nell’abbigliamento si privilegiano tessuti tecnici ad alte prestazioni: la lana merino per la sua traspirabilità e resistenza agli odori, i capi sintetici ultraleggeri per rapidi tempi di asciugatura e la membrana softshell minimalista per ripararsi dal vento. È consigliabile ridurre al minimo il numero di capi: un set base composto da maglia a maniche lunghe in merino, pantaloni leggeri, un guscio antivento/idrorepellente e un capo di mezzo strato imbottito in sintetico – più un cambio completo per la notte – è spesso più che sufficiente per escursioni fino a 3–4 giorni, a meno di climi particolarmente rigidi.

Il riparo rappresenta uno dei maggiori risparmi di peso. Le tende ultraleggere in nylon siliconato o Dyneema possono pesare dai 400 ai 700 g, rispetto ai 2 kg delle tende tradizionali a doppia parete. Un telo tarp opportunamente scelto e configurato richiede una buona competenza nell’installazione e non protegge completamente dalla condensa, ma può attestarsi intorno ai 200–300 g. I bivy bag in Dynema sono un’altra opzione per chi privilegia il minimo ingombro, pur mantenendo un grado di protezione accettabile. In ogni caso, la scelta dipende dal tipo di terreno, dal clima e dall’esperienza personale.

Per il sonno, il passaggio al sacco a pelo a quilt in piuma d’oca di alta qualità può ridurre notevolmente il peso: un quilt per temperature di comfort intorno ai 0 °C può pesare 400–500 g, contro i 900–1 000 g di un sacco tradizionale. La degradazione della capacità isolante in condizioni di umidità è un fattore da considerare: in ambienti bagnati, un’imbottitura sintetica più pesante ma meno soggetta a perdere calore può risultare più affidabile. Anche il materassino può essere alleggerito scegliendo modelli in schiuma ultraleggera o autogonfianti con spessori ridotti, assicurandosi però di mantenere un comfort accettabile per un buon riposo.

In cucina, le scelte devono tener conto del combustibile e del peso complessivo di pentole e fornello. Un fornello a gas canister pesa circa 60–70 g, mentre un sistema a alcool (Fornello Trangia) con relativa tanica può superare i 300 g; tuttavia, il gas isobutano-propano offre maggiore potenza e velocità di cottura. Le pentole in titanio riducono il peso di 100–200 g rispetto a quelle in alluminio anodizzato, ma costano molto di più e hanno capacità di trasferimento termico inferiori, che richiedono piccoli aggiustamenti nelle tecniche di cottura. Un’unica pentola multifunzione da 750–900 ml può essere sufficiente per due persone, limitando il volume trasportato.

Gestire l’acqua è un’altra chiave per risparmiare peso: trasportare grandi quantità di acqua significa aggiungere grammi costanti, mentre un filtro o una penna UV pesa tra 50 e 100 g e consente di rifornirsi in modo sicuro lungo il percorso. Una borraccia da 500 ml in plastica dura, leggera e resistente, combinata con una vescica idrica sottile da un litro, permette di distribuire il peso in modo equilibrato e di mantenere il volume necessario senza appesantire eccessivamente lo zaino.

Nell’ambito degli strumenti, la tecnologia ha portato a dispositivi multifunzione che sostituiscono intere categorie di oggetti: uno smartphone con app di navigazione offline, bussola e altimetro integrati riduce la necessità di portare bussola cartacea, orologio altimetrico e guide cartacee, risparmiando oltre 200 g. È importante tuttavia proteggere il dispositivo all’interno di custodie impermeabili leggere. Una lampada frontale a LED ad alta efficienza può pesare anche meno di 50 g, garantendo decine di ore di autonomia con batterie AAA leggere o ricaricabili.

L’approccio ultralight raccomanda inoltre di cercare oggetti multiuso: un bastoncino da trekking con impugnatura rimovibile che funge da attrezzo per picchettare il tarp, o un foulard in poliestere tecnico che svolge funzioni di scaldacollo, asciugamano leggero, sacchetto portaoggetti e filtro primario per l’acqua. Anche i sacchetti impermeabili in nylon ultraleggero possono servire come organizer interni, protezione per il sacco a pelo o raccoglitore di rifiuti, consolidando più ruoli in un unico elemento.

La scelta dello zaino è cruciale: i modelli frameless, privi di telaio rigido, possono pesare meno di 400 g ma richiedono una distribuzione attenta del carico e un’esperienza consolidata. Gli zaini con frame in alluminio ultraleggero aggiungono 100–200 g e offrono maggiore comfort e regolabilità, risultando adatti a chi trasporta carichi più alti. È utile valutare la capienza in base alla durata dell’escursione, evitando ingombri inutili: per una gita di due giorni, 30–35 litri sono spesso sufficienti; per tre o quattro giorni, 40–50 litri.

Non va trascurata la manutenzione preventiva: un’equipaggiamento ben curato dura più a lungo, rimane leggero e affidabile. Imparare a riparare tessuti in nylon siliconato o a rinfoderare cuciture con nastro tenkara (ripstop tape) evita di sostituire capi o tende, risparmiando nel lungo termine. Un piccolo kit di riparazione – 20 g di nastro adesivo per riparazioni, ago e filo in nylon, pezze in Dyneema – è un investimento minimo che previene problemi ben più gravi.

Infine, è indispensabile calibrare le proprie esigenze di comfort, sicurezza e durata, tenendo conto di fattori esterni quali clima, altitudine, durata del trekking e familiarità con l’ambiente. La filosofia ultralight non è un dogma, ma un insieme di strategie adattabili a ogni escursionista. Sperimentare, pesare ogni oggetto prima di partire, annotare i risparmi ottenuti e i punti critici riscontrati permettono un miglioramento costante del proprio equipaggiamento. Il risultato è un’esperienza più fluida, meno faticosa e più godibile, che lascia spazio all’essenza dell’escursione: il contatto con la natura, la scoperta degli orizzonti e il piacere di spingere un passo dopo l’altro, con leggerezza e consapevolezza.

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Dalla FIE: Escursionismo cinico (Cinismo)

La natura come scuola di virtù

Diógenes (1882), dipinto di John William Waterhouse

Quando si parla di Cinismo come corrente filosofica, la mente corre all’antica Grecia, a figure emblematiche come Diogene di Sinope, uno dei più celebri cinici, che visse in una botte, rifiutò le convenzioni sociali e predicò la virtù attraverso la semplicità e l’essenzialità. Il Cinismo, nella sua versione originaria, era più di una teoria: era una pratica di vita che tentava di liberare l’individuo dai condizionamenti sociali, dalle ricchezze inutili, dalle leggi non naturali, per condurlo verso un’esistenza in armonia con la natura, senza artifici, in totale indipendenza spirituale.

Traslando questi principi nell’ambito dell’escursionismo, nasce la figura dell’“escursionista cinico”. Ma che cosa significa camminare nella natura in modo cinico? Non si tratta di un cinismo moderno, inteso come diffidenza o disincanto amaro. Piuttosto, l’escursionismo cinico richiama l’ideale antico del vivere secondo natura, del ridurre i bisogni al minimo, del considerare le convenzioni sociali superflue. L’escursionista cinico affronta la montagna come uno scenario in cui testare la propria libertà, lontano dai fronzoli e dalle comodità della vita urbana, per riscoprire cosa significa essere esseri umani “nudi” di fronte alla natura.

Il contesto filosofico: il Cinismo greco

La filosofia cinica nacque ad Atene nel IV secolo a.C. tra i seguaci di Antistene (un discepolo di Socrate) e trovò nel leggendario Diogene di Sinope il suo maggior rappresentante. I cinici rifiutavano i costumi, la ricchezza, i valori e le gerarchie sociali della polis greca. Non cercavano rifugio nella solitudine astratta o nell’isolamento totale, ma vivevano spesso in città, sfidando apertamente le convenzioni. Il loro obiettivo era la virtù, vista come autosufficienza, indipendenza e integrità morale, ottenute liberandosi da ogni bisogno superfluo.

Essere cinici significava ridurre al minimo l’attrezzatura della vita: niente ricchezze, niente proprietà inutili, nessuna dipendenza dal giudizio altrui. Il cinico era come un cane randagio (da qui l’origine del nome “cinico”, dal greco “kynikos”, cioè “canino”), libero e sfrontato, in grado di sopravvivere con poco, di adattarsi a ogni situazione e di non essere schiavo delle opinioni altrui.

L’applicazione al mondo dell’escursionismo

L’escursionismo moderno è spesso caratterizzato da un forte orientamento al comfort, alla sicurezza e, talvolta, al consumo: attrezzature all’avanguardia, abbigliamento tecnico, calzature di ultima generazione, e un intero mercato di prodotti per rendere l’esperienza outdoor più comoda possibile. L’escursionismo cinico rovescia questa prospettiva. Esso invita a considerare la montagna non come un luogo da “catturare” con selfie o da percorrere con l’equipaggiamento più costoso, ma come uno spazio primordiale dove riscoprire la nudità esistenziale dell’uomo.

Come il filosofo cinico viveva in una botte, si riparava dal freddo con un mantello e si cibava di ciò che trovava, così l’escursionista cinico riduce il proprio equipaggiamento al minimo indispensabile. Non si tratta necessariamente di avventurarsi scalzi o di mangiare bacche crude (anche se un cinico particolarmente radicale potrebbe considerarlo!), ma di ridurre, dove possibile, l’intermediazione della tecnologia e del superfluo tra sé e la natura. Uno zaino leggero, un paio di scarponi robusti ma non ultratecnologici, abiti semplici e resistenti, una borraccia, una mappa cartacea: l’essenzialità è la chiave.

I principi dell’escursionismo cinico

  1. Riduzione dei bisogni:
    L’escursionista cinico non cerca la comodità, anzi la considera un ostacolo all’autenticità dell’esperienza. Riducono i propri bisogni al minimo: niente zaini strapieni di gadget, niente cibi complicati e preconfezionati. Un pezzo di pane, un po’ d’acqua, magari qualche frutto raccolto sul cammino (dove consentito e senza danneggiare l’ambiente), bastano per sopravvivere alla giornata. Questo atteggiamento insegna l’autosufficienza e l’indifferenza verso ciò che non è strettamente necessario.
  2. Rifiuto delle convenzioni sociali:
    L’escursionista cinico non si preoccupa di apparire alla moda, né di seguire i trend del momento. Non importa se l’abbigliamento è datato o non sponsorizzato da un grande marchio. Non si cura delle fotografie su Instagram. Il suo obiettivo non è ottenere l’approvazione di una community, ma trovare la libertà interiore nella semplicità.
  3. Vivere secondo natura:
    Il concetto di “vivere secondo natura” per i cinici significava conformare la propria vita ai principi più elementari della realtà, senza sovrastrutture culturali artificiose. Nell’escursionismo questo si traduce nel cercare un rapporto diretto con l’ambiente: percorrere sentieri senza fretta, percepire il vento, il sole, la pioggia, sentire la fatica dei muscoli senza lamentarsi o cercare scorciatoie. La natura è maestra e specchio di una verità non filtrata.
  4. Libertà dagli oggetti e dagli status symbol:
    Il cammino cinico non è una passerella per mostrare l’ultimo modello di giacca tecnica impermeabile o lo smartwatch col GPS integrato. Piuttosto è un esercizio di libertà dai simboli di status. Ciò può apparire provocatorio: perché rinunciare a strumenti utili? Perché sfidare la pioggia senza una super attrezzatura? La risposta cinica è che la virtù sta nella capacità di resistere, di vivere bene anche in condizioni non ottimali, imparando dal disagio e dalla mancanza.
  5. Autenticità e franchezza:
    I cinici erano noti per la loro parresia, la schiettezza di linguaggio e di vita. L’escursionista cinico potrebbe dunque essere schietto, non cercare di addolcire l’esperienza. Se piove, piove; se si è affamati, si è affamati. Non c’è bisogno di mascherare le condizioni reali del percorso con metafore poetiche, né di trasformare la camminata in un rito estetico. È una prova onesta con se stessi.

La dimensione etica e spirituale

Camminare in modo cinico non è solo un esercizio fisico, ma una pratica etica e spirituale. Ridurre i bisogni, rifiutare gli orpelli, affrontare il cammino con sobrietà significa anche interrogarsi sui propri valori. Di fronte a una salita ripida senza il supporto dell’ultimo ritrovato tecnologico, si scopre se stessi: si comprende meglio quanta resistenza mentale si possiede, quanto si è pronti ad accettare la realtà per quella che è, senza cercare continue compensazioni artificiali.

L’escursionismo cinico diventa una forma di ascetismo laico: una scuola di disciplina interiore, in cui i comfort cedono il passo a una ricerca di autenticità che produce un intimo senso di libertà. Camminando con poco, si impara a riconoscere l’eccesso. Accettando il vento freddo sul viso, si impara ad apprezzare il calore del sole al suo apparire. Non si tratta di mortificazione fine a se stessa, ma di liberazione: non dipendere dal superfluo rende più forti, moralmente e spiritualmente.

L’impatto sull’ambiente

La scelta cinica, improntata alla semplicità, può avere risvolti positivi anche sull’ambiente. Ridurre il superfluo significa non consumare oggetti inutili, non lasciare troppi rifiuti, non incidere sul territorio con pratiche invasive. L’escursionista cinico non lascerà traccia del suo passaggio, se non le impronte dei piedi. Non trasporterà cibo confezionato in mille involucri di plastica, non necessiterà di strutture elaborate o mezzi a motore per raggiungere l’inizio del sentiero. Questo stile di escursionismo si sposa con un approccio ecologico “low impact”, dove l’essere umano cerca di integrarsi con la natura anziché imporsi su di essa.

Critiche e possibili obiezioni

L’escursionismo cinico non è per tutti, né pretende di esserlo. Molti potrebbero obiettare che il nostro contesto storico è diverso da quello dell’antica Grecia, che certe privazioni sono inutili o perfino sciocche, data la disponibilità di strumenti in grado di migliorare la sicurezza. Ed è vero: la sicurezza non va sacrificata per estremismo. L’escursionista cinico non è un sconsiderato. Può utilizzare una mappa, una giacca antipioggia di base e un paio di buone scarpe: non si tratta di mettere a repentaglio la propria incolumità, ma di ridimensionare le aspettative di comfort.

Altri potrebbero ritenere che non ci sia nulla di male nel voler scattare fotografie o godere del buon cibo in montagna. E hanno ragione: non c’è un dogma da seguire. L’escursionismo cinico è un modello provocatorio, un invito a riflettere sui nostri approcci, non una legge morale universale. È una possibilità, un gioco filosofico, un richiamo a non dare per scontate le comodità e le convenzioni.

Come praticare l’escursionismo cinico

  • Scegli sentieri semplici per iniziare: Non serve partire con un percorso estremo. Basta un sentiero vicino casa. Lascia a casa gli strumenti non indispensabili.
  • Valuta la tua attrezzatura: Hai davvero bisogno di tutto ciò che porti di solito nello zaino? Forse no. Elimina il superfluo, tieni solo ciò che è strettamente necessario per la sicurezza e l’idratazione.
  • Affronta le intemperie con serenità: Se piove leggermente, non correre a cercare il rifugio più vicino. Impara a camminare sotto una leggera pioggia. Se fa caldo, sopporta la sete con moderazione prima di bere, senza esagerare.
  • Non cercare approvazioni: Non pubblicare subito le foto dell’escursione, non vantarti sui social. Tienila per te, come un’esperienza intima.
  • Osserva le tue reazioni: Come ti senti senza i soliti comfort? Cosa impari su te stesso? Queste domande sono l’essenza della pratica cinica.

Conclusioni: una provocazione filosofica

Come tutti gli esercizi filosofici, anche l’escursionismo cinico è una provocazione: ti mette di fronte all’interrogativo su cosa sia davvero importante quando cammini nella natura. Ti chiede di riconsiderare la relazione fra te, il paesaggio, gli strumenti, il superfluo e l’essenziale. Non è detto che tu debba diventare un perfetto “cane-filosofo” in stile Diogene e rinunciare a ogni comodità, ma anche una piccola riduzione del superfluo può aprire orizzonti di comprensione inaspettati.

In un mondo in cui tutto sembra progettato per garantire comfort, l’escursionismo cinico ricorda che l’essere umano può trovare libertà e virtù anche, e forse soprattutto, nella rinuncia al superfluo. Non per odio del piacere, ma per amore della verità e della forza interiore. Camminare come un cinico, in definitiva, è un modo per ricordarci che la vita non è fatta solo di ciò che possediamo, ma anche di ciò che impariamo a non desiderare.

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Dalla FIE: Iniziano le celebrazioni del 35° anniversario del Sentiero Europeo E7 in Liguria

Il Comitato Regionale Liguria della FIE, grazie all’organizzazione tecnica del Gruppo Escursionistico Croce del Sud, in occasione delle celebrazioni del 35° anniversario del Sentiero Europeo E7, il 10 maggio 2025 promuove una escursione per raggiungere il Monte Lavagnola, luogo di intersezione del già citato E7 con il Sentiero Europeo E1. Particolarmente suggestivo il tema che si è voluto dare all’evento, Giornata dell’Europa: “Sentieri Europei – Percorsi di Pace”. Il 9 maggio 1945, infatti, aveva termine, con la definitiva sconfitta della Germania nazista, la Seconda guerra mondiale sul territorio europeo. Nel 1950, nel quadro del processo di integrazione del continente che avrebbe portato successivamente alla costituzione dell’Unione Europea, proprio quel giorno venne scelto dal ministro francese Robert Schumann per la sua celebre dichiarazione, che avviava il processo di cooperazione e successivamente di integrazione fra i vari Paesi.

I partecipanti avranno la possibilità di scegliere fra due percorsi (maggiori dettagli nella sottostante locandina):

  1. Torriglia 761 m. slm–Cappella della Costa 881 m. slm–monte Lavagnola 1113 m. slm
    km 4,39 – ore 2,00 – disl. + 352;
  2. Scoffera 675 m. slm-monte Lavagnola 1113 m. slm
    km 5,59 – ore 2,45/3,00 – disl. + 438.

La manifestazione gode del patrocinio della Regione Liguria e della Città Metropolitana di Genova.

Sempre in territorio ligure, ma questa volta in provincia di Imperia, a fine luglio si svolgerà il raduno nazionale del Sentiero Europeo E7. Anche in questo caso si tratta di un territorio simbolico, poiché terra di confine e teatro, nei pressi di Ponte San Luigi (valico di confine che unisce Ventimiglia con le immediate vicinanze di Mentone), delle prime manifestazioni europeiste negli anni Cinquanta del secolo scorso.

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Dalla FIE: La Transalentina del Sole

Oltre alla Seconda Festa del Cammino sul Gargano e alla escursione sul percorso dell’Acquedotto Pugliese nel quadro del corso AEN, la Delegazione Regionale della Puglia sta svolgendo un’intensa attività sul territorio.

In questo terzo post consecutivo presentiamo un’ulteriore iniziativa, la Transalentina del Sole (v. locandina in calce), una camminata di 50 km da Otranto a Gallipoli, che si svolge ormai da qualche anno.

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Dalla FIE: 2a Festa del Cammino sul Gargano

Mare, montagna e laghi, tra storia, enogastronomia e prodotti tipici,
camminando tra le meraviglie del Gargano

Con la Festa del Cammino sul Gargano, che si terrà quest’anno dal 25 al 27 aprile 2025, desideriamo accompagnare camminatrici e camminatori provenienti da tutta Italia alla scoperta di un territorio di grande pregio naturalistico, ricco di storia, cultura e tipicità enogastronomiche.

Dalla collaborazione attiva tra diverse associazioni e guide escursionistiche locali nasce un ricchissimo calendario di escursioni: centri storici, laghi, mare, colline, monti e immensi boschi, passando per masserie, eremi, necropoli e monasteri, dove oltre a una natura sorprendente e rigogliosa è possibile incontrare la storia e le genti che abitano questi luoghi.

Cammineremo su antichi sentieri battuti da mandrie e greggi, ancora liberi di pascolare in terre che si estendono dal mare fino ai boschi più fitti, e faremo la conoscenza della sorprendente flora autoctona, che conta oltre 2000 specie botaniche, circa il 35% della varietà di flora esistente su tutto il territorio nazionale, tra cui spiccano, oltre ad alberi monumentali e faggete depresse ad appena 300 metri sul livello del mare, la presenza di circa 85 specie di orchidee selvatiche, regalando al Gargano il primato della più alta concentrazione di questi fiori in Europa. 

Programma e prenotazioni sul sito https://lcircelc.wixsite.com/camminandosulgargano.

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Dalla FIE: Il 2° Corso Nazionale AEN in Puglia

Domenica 13 aprile i corsisti pugliesi del 2° corso AEN hanno guidato un folto numero di escursionisti di alcune associazione FIE della Puglia lungo il percorso del noto Acquedotto Pugliese che, dalle sorgenti del fiume Sele in Campania, porta l’acqua a tutta la regione. Progettato nel 1868, la sua realizzazione è terminata nel 1939 e fornisce acqua potabile a 10 Province e 315 comuni.

Il percorso, oltre a seguire il tracciato dell’Acquedotto, ha attraversato la Valle d’Itria, splendida per i famosi e incantevoli trulli, patrimonio dell’UNESCO.

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Dalla FIE: Il progetto PATH entra nel vivo

Dopo un paio di incontri a carattere organizzativo e di verifica, il progetto PATH (Promoting Activism Through Hiking) entra nel vivo e si prepara al prossimo meeting in presenza, previsto a Vilnius (Lituania) a fine luglio.

Ricordiamo che l’obiettivo finale è molto ambizioso: coinvolgere i giovani nella pratica dell’escursionismo e spingerli ad assumersi incarichi di responsabilità all’interno delle organizzazioni preposte allo sviluppo di questa pratica, con tutte le sue valenze e potenzialità di sviluppo. Fra gli output finali del progetto, che si sviluppa nell’ambito del programma Erasmus+ – e su cui si è già iniziato a lavorare – vi è la realizzazione di una sorta di manuale pratico a supporto di chi vorrà utilizzarlo, così come era stato fatto a suo tempo con il toolkit DigiHike.

I lavori procedono secondo la il calendario concordato fra le cinque associazioni coinvolte nel progetto, ma soprattutto aumenta l’esperienza della FIE, questa volta capofila. Un’esperienza che potrà essere messa a frutto anche in un prossimo futuro per sviluppare ulteriore capacità progettuale. 

Infine, come sempre informiamo i lettori del sito che, non appena sarà possibile, pubblicheremo il materiale di pubblico dominio sul sito www.fiemediacenter.it, il portale dedicato ai progetti europei e ai concorsi promossi dalla Federazione Italiana Escursionismo.

 

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La montagna nella piana